Genitori in coda per parlare con i professori: quando la scuola diventa incivile

di Pietro Piovani
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Mercoledì 25 Marzo 2015, 23:28 - Ultimo aggiornamento: 26 Marzo, 14:01
Mia madre di ritorno dal ricevimento: "Giorgia, sono stanca di impiegare più tempo ad aspettare, che a parlare con i tuoi professori"

@OfMiceAndWends




Ancora una trentina di anni fa in Italia gli uffici pubblici erano aperti soltanto di mattina. Da allora il mondo è cambiato, sono cambiati i tempi del lavoro e della società, e la pubblica amministrazione si è adeguata. Non tutta però. Per esempio, risulta incredibile che nell’anno 2015 i genitori italiani, utenti di quel fondamentale servizio pubblico chiamato scuola, siano costretti a chiedere un giorno di permesso ai loro datori di lavoro per poter parlare con gli insegnanti dei figli, che ricevono soltanto di mattina.



In alternativa, i genitori che non hanno modo di assentarsi dal lavoro di mattina possono scegliere di mettersi in coda nei pomeriggi del cosiddetto “ricevimento generale”, quell'incivile rito che nella maggior parte delle scuole si tiene una volta a quadrimestre. Centinaia di padri e madri aspettano il loro turno in piedi nei corridoi, per scambiare finalmente due parole con il professore di matematica, poi di nuovo in fila per quello di inglese e così via. C’è chi porta con sé i ragazzi e li usa come segnaposto nelle code, c’è chi riesce a farsi aiutare dal bidello. Il quale bidello a una certa ora comincia a protestare perché è tardi e lui vuole andarsene a casa. In alcune scuole romane è successo che i genitori e i docenti, cacciati dalle aule, hanno concluso i colloqui nel cortile dell'istituto o in mezzo alla strada.



Le soluzioni ci sarebbero. Si potrebbero organizzare videoappuntamenti su Skype. Soprattutto si potrebbe prevedere l’obbligo per tutti i professori di ricevere i genitori almeno un pomeriggio a settimana. Ci permettiamo sommessamente di suggerire al governo e ai parlamentari l’inserimento di un apposito comma nel testo della riforma che si discute in questi giorni.



pietro.piovani@ilmessaggero.it