un cappuccino quando sento
chiedere un caffè lungo ma non troppo,
schiumato con latte di soya e granella
@499777
A un certo punto della giornata a Roma c’è sempre qualcuno che dice: «Andiamo a prenderci un caffè, dai». Si esce in gruppo, si occupa il bancone del bar, si mitraglia il barista con tutto il ventaglio delle possibili ordinazioni: un caffè al vetro, uno alto, uno basso, un ginseng, un decaffeinato, un deca con la schiuma. Una raffica che farebbe impazzire un qualsiasi cassiere di Starbucks nel resto del mondo e sarà per questo forse che la catena di Seattle a Roma ancora non si è affacciata. La filosofia dell’«andiamo a prenderci un caffè» da queste parti non conosce tentennamenti e, tenendo anche conto che sempre più spesso mangiamo fuori, questo settore pare che sia l’unico che non conosca crisi, i bar si stanno moltiplicando. I dati sono stati diffusi l’altro giorno dalla Fiepet Confesercenti: a Roma ci sono 15 mila tra bar e ristoranti. Ancora: se nel 2012 nella Capitale e nel resto della regione ce ne erano 37.202, nel 2016 sono diventati 41.157, un incremento del 10 per cento ancora più sorprendente se si ricorda che nello stesso periodo è stata registrata una perdita costante e massiccia di negozi, costretti ad abbassare le serrande. «Sì però non è così facile - avvertono alla Confesercenti - perché chi apre un bar o un ristorante, una volta su due chiude dopo tre anni». Chi sembra non subire crisi sono invece le gelaterie, che si moltiplicano a vista d’occhio. Sì, perché nella lunga estate romana è forte anche la filosofia dell’«andiamo a prenderci un bel gelato».
mauro.evangelisti@ilmessaggero.it
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