Prati, quei tesori liberty all'ombra del Cupolone

Prati, quei tesori liberty all'ombra del Cupolone
di Fabio Isman
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Domenica 12 Marzo 2017, 10:56
L'ultimo nato tra i rioni di Roma, Prati che è il 22° e ufficialmente sorge il 20 agosto 1921, erano prati per davvero: quelli «neroniani», o «di castello» (si intende Sant'Angelo), che dal Tevere raggiungevano le pendici di Monte Mario. Sulla destra del fiume, per proteggerlo dalle sue piene, grande quantità di materiale da riporto vi è condotta perfino con un'apposita ferrovia da Grottarossa, costruita da una ditta belga nel 1906, in uso fino al 1932, quando la surroga la Roma-Viterbo. Fino al 1883, erano solo campi, con alcune vigne.

Ma già Pio IX vi immaginava una espansione cittadina. Che invece inizia nel 1883, quando l'area di piazza Mazzini (allora, appunto, «piazza d'armi») diventa teatro delle prime esercitazioni militari. Di molti terreni era proprietario il previdente Federico Francesco Saverio de Mérode, arcivescovo belga e viceministro della guerra di papa Mastai Ferretti, che vi firma la sua seconda convenzione con il nuovo Stato, dopo quella dell'Esquilino. Per unire la nuova parte di città a quella esistente, de Mérode edifica una passerella in ferro presso il porto di Ripetta, con cinque centesimi di pedaggio; lo Stato la acquista nel 1884 per 150 mila lire e abolisce la tassa; la smantella quando sorge Ponte Cavour, insieme alla «barca di Caronte» che traghettava tra le due rive.

DEMOLIZIONI
Per creare Prati, si demolisce quel poco che già esisteva. Tra cui la villa suburbana di Bindo Altoviti, fiorentino ma avversario dei Medici, banchiere di cinque papi che presta quattrini a Carlo II di Savoia ed Enrico II di Francia (al 16 per cento d'interessi), ed è eternato da Raffaello. La casa di città era sul Lungotevere che ora ne reca il nome (distrutta per crare i muraglioni); e la villa dall'altra parte del fiume, affrescata dall'amico Giorgio Vasari: solo un soffitto e dei lacerti rimangono a Palazzo Venezia.

E il quartiere sorge ai tempi in cui non era ancora rimarginata la ferita di Porta Pia: così, nasce in modo che nessuna tra le vie perpendicolari traguardi sul Cupolone. E hanno tutte i nomi di personaggi storici dell'Urbe imperiale, e di eroi del Risorgimento, al quale la piazza più grande è dedicata; e la strada principale, a Cola di Rienzo (vero nome, Nicola Gabrini) che, in contrasto con il papato, nel 1300 tenta di ripristinare la repubblica. Insomma, rione antipapalino per eccellenza. E una delle speculazioni più ingenti: terreni agricoli trasformati in fabbricabili. La prima proposta nel 1872: i piemontesi non hanno ancora finito d'insediarsi.

LIBERTY
Il rione è degno di una passeggiata, con gli occhi aperti e il naso all'insù, per non perdersi le bellezze liberty dei suoi edifici.

Dal Castello, arriva a viale delle Milizie. Con i residui di un'epoca assai feconda. La chiesa Valdese in piazza Cavour conserva il primo tetto in cemento armato di un pubblico edificio nell'Urbe; il villino Cagiati a via Virginio Orsini 25 (pampini e frutti: ceramiche di Galileo Chini; ferri battuti di Alessandro Mazzucotelli) tramanda, al meglio, lo «stile floreale»: è di Garibaldi Burba, come il vicino (viale Giulio Cesare 31) villino Macchi Cellere, 1904. Di Arturo Pazzi (suo pure l'edificio del Messaggero, in origine Hotel Select) il villino Vitale (via dei Gracchi 291), di cui Duilio Cambellotti dipinge e decora il fregio; sempre a via dei Gracchi, al 183, c'è l'insegna, originale, in ceramica, dello stampatore Palombi.

Perfino le case d'affitto, come a via Crescenzio 20, erano decoratissime: fregi, erme, ferri battuti. E' più tarda (del 1928) la Casa Madre dei Mutilati, a Piazza Adriana: opera di Marcello Piacentini, ha erme di Adolfo Wildt, marmi di Arturo Dazzi, due affreschi di Mario Sironi, due tele di Carlo Socrate; ma ormai, è sede giudiziaria, e quindi assai difficile da visitare, pur nel suo profluvio risorgimentale: piena di medaglioni dedicati agli eroi del più puro irredentismo. Resta solo il falansterio di Palazzo di Giustizia: diciamo unicamente che, scavandolo, si trova la famosa bambola di Crepereia Tryphaena, con i suoi gioielli, ora esposta alla Centrale Montemartini: occorre davvero andare a vederla.

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