Ecco la più antica dicitura in latino

Ecco la più antica dicitura in latino
di Fabio Isman
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Venerdì 21 Ottobre 2016, 18:21 - Ultimo aggiornamento: 28 Ottobre, 12:44
La Fibula prenestina al museo Pigorini fu a lungo creduta falsa: il racconto di tutta la vicenda del ritrovamento
 
LA STORIA
E’ la più antica dicitura in lingua latina che ci sia rimasta; no, è solo un abilissimo falso di fine Ottocento: su un oggetto comunque straordinario, conservato al Museo nazionale preistorico ed etnogafico Luigi Pigorini all’Eur, e una cui copia moderna è al Museo nazionale romano delle Terme di Diocleziano (tanto è preziosa, e anzi unica), si sono divisi e combattuti per quasi un secolo studiosi ed esperti. Ma alla fine, modernissimi ed avanzatissimi esami, anche al microscopio elettronico a scansione, hanno deciso la sua autenticità: la “Fibula prenestina”, un oggettino in oro lungo undici centimetri, è verace. Ma ricostruirne la scoperta, vederne il valore scientifico, e ripercorrere le mille polemiche che si sono succedute, può essere utile. E forse, può essere addirittura un po’ divertente.

GLI SCAVI
Come spesso succede, l’oggetto compare dal nulla. Nel 1887, lo presenta Wolfgang Helbig (1839 - 1915), noto archeologo tedesco dal 1862 a Roma, vicesegretario dell’Istituto di archeologia prussiano, marito di una principessa russa e in contatto con tutti i grandi nomi del tempo, autore di tanti scritti sulle antichità italiche. Viveva a Villa Lante, sul Gianicolo (splendido il panorama sull’Urbe); era cittadino onorario di Tarquinia, grazie agli scavi condotti per conto del Comune. Ma era anche il più importante mediatore nelle vendite di oggetti italiani (pagato 500 franchi all’anno): fornisce alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen ben 900 oggetti antichi, per esempio; anche una collezione di rari ritratti romani, già del conte polacco Michele Tyszkiewicz, che stava a Roma e la cui raccolta, all’asta nel 1898, è al Louvre. Assiste il barone Giovanni Barracco quando forma il suo museo (Corso Vittorio Emanuele II) nel 1904. Amico di Mommsen, Liszt, D’Annunzio, Helbig è sepolto nel cimitero acattolico della Piramide Cestia.

LA GENESI
La fibula è datata al 670-650 a.C.; la dicitura che vi è incisa, in caratteri arcaici, spiega che «Mario mi fece per Numerio». Helbig disse d’averla acquistata da un amico, che l’aveva sottratta al corredo della tomba Bernardini, verso il 1871 trovata vicino a Preneste, Palestrina. Fino al 1919 era esposta con il corredo di questo sepolcro; da cui è poi separata per la mancanza di certezze sulla sua provenienza. I primi dubbi, già all’inizio del Novecento. I maggiori nel 1980: quando l’epigrafista Margherita Guarducci (le si deve l’individuazione, tra l’altro, della tomba di San Pietro) afferma che tutto era un falso, frutto della collaborazione tra Helbig e Francesco Martinetti, del quale spesso si sono dubitate alcune scoperte e attribuzioni e che, nel 1889, la dona al Museo di Villa Giulia. Passa per questo antiquario, per esempio, il Trono Ludovisi, ora a Palazzo Altemps, che Federico Zeri riteneva un falso, pur se ufficialmente venne ritrovato nel 1887, durante gli scavi per lottizzare Villa Ludovisi. Morto Martinetti, demolendone la casa in via Alessandrina, si ritrovano, murate 2.529 monete, per oltre venti chili d’oro, finiti ai Capitolini, dopo una querelle con gli eredi.

GLI ESAMI
La scomunica della Guarducci ha un enorme risalto tra tanti studiosi: diatribe durissime. Però, nel 2011, Daniela Ferro del Cnr e Edilberto Formigli, restauratore e docente alla “Sapienza”, fanno, come si usa dire, giustizia. Microscopi avanzatissimi, spettrometri e quant’altro, accertano l’età del materiale e l’identità con le tecniche orafe etrusche del periodo. Scoperta anche una remota riparazione, con lamina a foglia d’oro, di una piccola frattura nella staffa della fibula. Il recupero è del periodo delle importanti scoperte di tombe in Etruria: a Cerveteri, la Regolini - Galassi; la François, ricca degli affreschi poi Torlonia, a Vulci; la Barberini e la Bernardini a Preneste, Palestrina. L’iscrizione, spiegano gli studiosi, è stata realizzata con uno stilo; più recente è forse l’uso di amalgama d’oro per rinforzare la parte mobile del puntale. Ma ormai, è certo: la fibula reca la scrittura in latino arcaico più antica che sia arrivata ai nostri giorni: è davvero un «unicum».
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