Roma, omicidio Castel di Leva: la pista dei soldi spariti

Roma, omicidio Castel di Leva: la pista dei soldi spariti
di Adelaide Pierucci
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Lunedì 26 Aprile 2021, 07:22 - Ultimo aggiornamento: 31 Luglio, 12:55

Un'esecuzione plateale, davanti casa. Forse per inviare un messaggio a qualcuno più potente e giustificare o vendicare la sparizione di soldi e droga, e magari evitare pure di finire a propria volta ammazzati. La svolta nell'omicidio di Fabio Catapano, 48 anni, l'ex noleggiatore di auto di Castel di Leva, ucciso a colpi di pistola lo scorso 17 luglio, nello spiazzo dove vivevano vittima e assassino, in via Sparanise, arriva con la conclusione delle indagini firmate dal pm Margherita Pinto e l'aggiunto Nunzia D'Elia.

Per l'assassino a sangue freddo, Giovanni Nesci, un imbianchino incensurato di 23 anni, calabrese di Soriano Calabro, in provincia di Vibo Valentia, si potrebbe profilare presto il processo con l'accusa di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e il porto abusivo di armi, una Beretta calibro 6,35.

Il buon rapporto di vicinato si interrompe all'improvviso quella mattina, al civico 76, davanti al cancello della villetta della vittima. Un paio di minuti prima delle dieci. Giovanni Nesci chiama Catapano per nome, lo fa affacciare e esplode sei colpi. A missione compiuta lascia la macchina parcheggiata e si consegna in caserma ai carabinieri. Esecuzione portata a termine. Sotto interrogatorio Nesci parla di tradimenti, ma di altro genere: «Lui pensava che avessi una relazione con sua moglie». Gli sviluppi delle indagini, però, hanno portato a ritenere che il messaggio firmato col sangue sarebbe stato ben interpretato invece da chi di dovere, a partire da chi avrebbe consegnato a Nesci i soldi per l'apertura di un negozio e pare della eroina, poi spariti. Catapano si sarebbe prestato a custodire quel bottino per poi fare qualche mossa falsa? A riscontro sul movente la procura ha solo un paio di intercettazioni di persone vicine all'assassino, familiari e conoscenti.

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Le intercettazioni

«Giovanni per me era come un figlio - aveva detto Monica, la vedova, subito dopo il delitto - L'ho accolto con la massima ospitalità sia lui che gli altri tre amici, tutti calabresi, con i quali era venuto a vivere dietro a casa nostra. Erano sempre da me e Fabio, stavano con i nostri figli. Facevo per loro le ciambelle e ora Giovanni ha detto ai carabinieri di aver ammazzato mio marito. Così, a sangue freddo. Ma per me stava fuori, era spaventato. Non era drogato, ma aveva gli occhi rossissimi. Era terrorizzato per qualcosa». Un paio di sere prima Nesci e un altro suo coinquilino avevano cenato dai Catapano. Al rientro a casa il ventenne calabrese aveva riferito di essere stato derubato da qualcuno.

«Non ho sentito nemmeno i colpi - si è disperata per giorni la vedova - sono uscita dieci minuti dopo, quando il corpo di mio marito era già stato visto dal vicino. Fabio era seduto, tutto contorto, appoggiato al muro di cinta». Lo ha scosso e ha visto i tre fori sul petto e una pallottola ancora incastrata sulla spalla, dietro alla schiena. «Fabio Catapano era un incensurato, oltre che una brava persona» sottolinea l'avvocato Ennio Scatà, che assiste la vedova. «Anzi si era pure attivato per cercare di capire chi avesse fatto sparire quei soldi». La vittima, un ex noleggiatore di auto, era rimasta disoccupata col lockdown.

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