«Che io possa vincere, ma se non riuscissi che io possa tentare con tutte le mie forze». Il loro è un motto conosciuto da tutti. Quell’urlo di forza, coraggio e caparbietà poco prima di una gara sportiva. Quelle parole sono il fulcro che caratterizza da sempre gli Special Olympics, il movimento che ogni anno accompagna milioni di ragazzi con disabilità intellettiva nelle loro imprese sportive. E proprio pochi giorni fa, gli Special Olympics hanno compiuto 55 anni. Davvero tanti, ma con una missione fondamentale: quella di offrire l’opportunità di poter allenarsi e partecipare a una varietà infinita di sport olimpionici. Bambini, adolescenti e adulti in grado di poter dimostrare le loro capacità, di accrescere la loro consapevolezza fisica e mentale, di vivere in un ambiente dove l’interazione conta più di tutto. Uno sport unificato dove molti atleti - con e senza disabilità - sono coinvolti in formazioni miste.
LA STORIA
Era il 1968 e la Eunice Kennedy Shriver decise di battersi contro quella convezione - diffusa - che le persone con disabilità intellettiva non potessero partecipare con successo alle competizioni sportive. Eunice e John ( Fitzgerald Kennedy, ndr) avevano una sorella, Rosemary, nata con una forma di disabilità. Il pensiero per Rosemary scatenò in Eunice la voglia di aiutare tutti coloro che fossero stati colpiti da una simile problematica non sempre accettata dai genitori.