Pugni e calci tanto violenti da causare ferite tali da richiedere interventi chirurgici, continue umiliazioni, isolamento totale da amici e familiari, una figlia portata via. Sono solo alcune delle atroci sofferenze che Florin Virgil Ciurea, 39enne rumeno, avrebbe inferto alla moglie, Genovea Ciurea, deceduta il 15 gennaio 2021 probabilmente anche a causa delle ripetute violenze subite. Contro di lui nel tribunale di Roma è in piedi un processo per maltrattamenti, lesioni aggravate e sottrazione di minore. Ripetute le volte in cui la donna è stata costretta a recarsi in ospedale per curare le ferite provocate dalle aggressioni del marito. La prima del gennaio 2018 le aveva provocato un grave trauma cranico con la presenza di un ematoma talmente grave da richiedere un intervento chirurgico, con una prognosi di 30 giorni.
LA TESTIMONIANZA
«Subiva continue violenze ma non diceva mai che era stato lui, diceva sempre che si trattava di incidenti domestici», ha raccontato ieri davanti ai giudici un'amica di famiglia.
LE MINACCE
Non solo abusi fisici, ripetute erano anche le minacce di morte: le diceva che l'avrebbe trovata ovunque fosse andata, la minacciava di portare via la figlia se lo avesse denunciato; cosa che poi è avvenuta nell'estate del 2020 quando, dopo che Ciurea aveva sporto denuncia per le lesioni subite, lui aveva portato la figlia in Romania dai suoi familiari per farla vivere lì contro la volontà della madre. «Non è stata una mia decisione, ha deciso lui e io non posso farci nulla», aveva detto la vittima confidandosi con l'amica.
Consapevole delle gravi condizioni di salute di Ciurea a causa delle sue ripetute percosse, dell'isolamento a cui l'aveva costretta e del fatto che la donna assumesse quantitativi significativi di alcol, non la assisteva neanche adeguatamente affinché si curasse, impedendole anche di chiedere aiuto ai familiari e di eseguire gli accertamenti medici necessari. Nel gennaio del 2021 accade il peggio. La scarica di calci e i pugni che aveva subito e l'aveva fatta cadere per terra, «in concorso - si legge nel capo di imputazione - con l'aggravarsi delle patologie riscontrate in sede autoptica», portano la donna al decesso, una decina di giorni dopo - appunto - l'ultima aggressione del marito.