Dopo anni tra indagini, sequestri e processi, lo scandalo “Multopoli” che ha travolto il Campidoglio si conclude con un nulla di fatto: i giudici della Corte dei conti non hanno riconosciuto nemmeno un euro dei 17 milioni di danno erariale contestati a due ex dirigenti e a due dipendenti dell’Ufficio contravvenzioni. Sono stati tutti quanti assolti, sia in primo che in secondo grado, mentre il Comune è stato anche condannato a pagare le spese legali, quantificate in circa 60mila euro. Nessun danno, quindi, e una beffa clamorosa.
Multopoli, il processo
Non va meglio il versante penale della vicenda, nel quale, oltre ai dipendenti capitolini, erano finiti sotto inchiesta anche i cittadini che avrebbero beneficiato di un servizio di favore, vedendosi annullate migliaia di contravvenzioni accumulate negli anni.
Sotto accusa, c’erano Pasquale Libero Pelusi, all’epoca dirigente del dipartimento Risorse economiche - e ora direttore del I Municipio -, le sue segretarie Laura Cirelli e Maria Rita Rongoni, e Patrizia Del Vecchio, responsabile della Gestione dei procedimenti connessi alle entrate extra-tributarie, quest’ultima accusata solo del disservizio e non dell’annullamento dei verbali. L’inchiesta era scattata nel 2014 dopo la denuncia di una dipendente. I fatti considerati dalla Corte dei conti andavano dal 2008 al 2015: sarebbero state sistematicamente annullate sanzioni a carico di imprenditori, magistrati, politici e vip. La procura contabile contestava sia l’annullamento irregolare di sanzioni per 16.524.086 euro, cifra chiesta a Pelusi, parzialmente in solido con le segretarie; sia il disservizio provocato all’ente, quantificato in 515.209 euro, cifra da addebitare anche alla Del Vecchio.
Secondo i magistrati, migliaia di multe sarebbero state cestinate senza rispettare la procedura e senza effettuare un’istruttoria, oppure allegando alle cartelle atti falsi. E a organizzare il sistema, per l’accusa, sarebbe stato Pelusi. I giudici, invece, hanno condiviso la tesi della difesa: «Non è stata dimostrata la perdita erariale», visto che «Pelusi, unitamente alle due addette alla segreteria, avrebbe agito in ossequio alle disposizioni organizzative e procedurali, valutando la documentazione». Per sostenere l’accusa sarebbe stato utilizzato un «mero elenco delle oltre 7.000 cartelle oggetto di discarico, indistintamente ritenute frutto di un’operazione illecita». I diretti interessati, invece, hanno prodotto nel giudizio «i fascicoli integrali riferiti a ciascuna delle 7.939 pratiche, per smentire l’assenza di istruttoria» e dimostrare «l’esistenza di motivazioni idonee a supportare i discarichi».