Oltraggio ai Fori, Paolo Carafa: «Roma non ha bisogno di progetti senza visione»

L’archeologo ordinario alla Sapienza: il piano del Comune non mi convince

Oltraggio ai Fori, Paolo Carafa: «Roma non ha bisogno di progetti senza visione»
di Fernando M. Magliaro
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Venerdì 14 Luglio 2023, 00:06 - Ultimo aggiornamento: 14:25

«Il professor Carandini ha ragione: non voglio entrare nel merito tecnico del progetto, negli aspetti urbanistici o di mobilità. Voglio soffermarmi sull’aspetto culturale. A Roma serve quello che hanno tutte le altre Capitali europee, un museo della città. Con questo progetto non creeremo un museo ma al massimo degli squarci di una realtà che abbiamo sotto i piedi e che finisce per rimanere ignota e non spiegata».

Paolo Carafa, ordinario di Archeologia Classica alla Sapienza, è molto netto: il progetto del Campidoglio su via dei Fori Imperiali è totalmente carente sotto l’aspetto culturale.

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E il progetto del Campidoglio questo aspetto lo affronta?

«No, direi di no.

Qui abbiamo un sistema di percorrenze, delle direttrici e delle circolari, dei restauri, allestimenti fissi o temporanei. Tutto questo può anche essere un legittimo pensiero su come intervenire con un progetto per ora non esecutivo sull’area. A parte che il professor Carandini ha già commentato in una maniera piuttosto analitica, ferma e condivisibile in tutto, ma io questo progetto lo vedo sotto un altro punto di vista: quello che manca in queste carte, quello che non è detto in questo documento».

Cioè, cosa?

«Manca completamente il racconto della città. Come pensiamo di migliorare? Di fatto, la mobilità, l’accessibilità, i restauri, le mostre contemporanee, sono tutte cose che hanno come denominatore comune la fruizione di questa zona. Noi pensiamo che la fruizione di questa zona sia una percorrenza? Esattamente come se andassimo a spasso nei giardini dell’Isola Margherita a Budapest? Abbiamo in queste carte un’idea della fruibilità della comunicazione culturale? No. E allora non vanno bene». 

Perché?

«Perché quegli squarci della “città di sotto” sono fotogrammi frammentati di una storia che da allora ci porta all’oggi. E questa storia come la raccontiamo? Questi squarci non solo sono fotogrammi della storia ma sono frammenti di entità materiali, di monumenti, di quartieri, di aree urbane. E quindi, non solo sono state aree in divenire ma avevano una sostanza materiale. E questi aspetti non li vogliamo spiegare? Dove iniziava e dove finiva uno dei Fori? Da quali altri Fori era circondato? Il problema non è solo questo».

E che altro?

«La questione non è tanto e solo far vedere e come consentire al visitatore di raggiungere ciò che si vede ma è spiegargli quello che sta guardando. Altrimenti, noi Roma non la racconteremo mai. Io un po’ per timore di incompetenza ho difficoltà ad entrare nel merito dei singoli aspetti di questo progetto ma credo che manchi in questa visione l’idea della comunicazione culturale. Quante volte abbiamo letto sui giornali o sentito dire “Roma è un museo a cielo aperto”?»

Tante.

«Ecco, non è vero. Io penso esattamente l’opposto: Roma, come tutti i luoghi del mondo, Roma di ieri e quella di oggi, è quello che gli archeologi chiamano un “contesto” cioè un sistema originario fatto di parti fra loro connesse. Queste parti le vediamo in frammenti, le connessioni le abbiamo perse e quindi alla fine perdiamo questo “contesto”. Fino a che non comprendiamo queste finalità non potremo fare una comunicazione culturale, non creeremo un museo ma al massimo degli squarci di una realtà che finisce per rimanere ignota e non spiegata che abbiamo sotto i piedi. Può anche essere una scelta».

Una scelta condivisibile?

«Dal mio punto di vista, ovviamente, no. Io per lavoro insegno all’università. Sono un archeologo. È chiaro che io sono teso all’opposto di quanto contenuto nel progetto. Io credo che il servizio che gli studiosi di antichità debbano fare è capire quanto sia consistente ciò che ci è rimasto, che tipo di storia, di eredità abbiamo, narrarlo in modo possibilmente comprensibile per tutti. Ma insomma, perché se io vado a Londra trovo il museo di Londra che mi fa capire cosa è successo da Giulio Cesare in poi e a Roma no?».

Quindi?

«Quindi, io nel progetto, non vedo traccia della necessità, dell’urgenza di far conoscere la città che si pretende di conservare».

Nel progetto, si legge la “necessità di riportare alla luce le vestigia ancora seppellite sotto la via dei Fori Imperiali”. Cosa c’è ancora lì sotto?

«Quando è stata realizzata via dei Fori Imperiali, non si è soltanto distrutta la Collina Velia ma è stata cancellata quella parte del tessuto di Roma che esisteva fino agli anni ‘30 del secolo scorso, un paesaggio urbano storico tanto quanto quello della Velia. Approssimando, la Velia occupava la metà dei Fori fra Colosseo e l’attuale ingresso all’area archeologica. Della Collina della Velia sono rimasti dei margini che stanno fra via del Cardello e via dei Fori Imperiali da una parte, sia qualche pezzettino fra l’area archeologica del Palatino e i Fori, tanto che i miei colleghi della Sapienza hanno un progetto dedicato alla conoscenza di questa sopravvivenza della Velia. Sono due “fettine” di Velia. Lì forse è rimasto qualcosa».

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