Roma, la donna incinta picchiata in metro: «Pestata perché non volevo rubare, aggressori mandati dai mei capi»

Parla la 39enne croata massacrata dai suoi aguzzini su un treno della linea B

Roma, la ragazza incita picchiata in metro: «Pestata perché non volevo rubare, aggressori mandati dai mei capi»
di Luisa Urbani
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Lunedì 8 Aprile 2024, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 00:17

È a letto e non riesce a muoversi. Ha dolori ovunque: alle gambe, alla schiena, all’addome... Il suo volto è tumefatto e rigato dalle lacrime. Non smette di piangere Meri Secic, la 39enne croata, che venerdì pomeriggio è stata massacrata di botte perché aveva deciso di cambiare vita e smettere di fare la borseggiatrice. Una scelta per la quale lei e il bimbo che portava in grembo hanno rischiato di morire. Il figlio è stato fatto nascere d’urgenza, con un parto cesareo, e ora è insieme alla madre al Policlinico Umberto I. 

Chi è stato a ridurla così?

«I miei protettori.

Hanno mandato un gruppo di picchiatori a massacrarmi perché gli avevo detto che non volevo rubare più. Mi hanno aggredita mentre ero in metro, usando il tirapugni e colpendomi anche con le bottiglie». 

E lei cosa ha fatto?

«Il mio unico pensiero era il figlio che avevo in grembo. Dovevo proteggere lui e per questo ho tenuto sempre le mani sulla pancia. Da qui il motivo delle tante ferite al volto: era l’unico punto che potevano colpire. Ero a terra e per impedire loro di picchiarmi sul ventre mi sono nascosta sotto i sedili della metro. Ma non smettevano. Hanno continuato per diversi minuti: calci, pugni, sputi finché non siamo arrivati alla fermata Termini. A quel punto si sono aperte le porte e loro, dopo un’altra serie di botte, sono scappati via».

Quindi li conosce? Li ha denunciati?

«Sì, conosco i mandanti e gli esecutori. Ho detto i loro nomi alla polizia. Spero davvero che li prendano e che sia fatta giustizia. Devono pagare per quello che hanno fatto».

Ora è qui, in ospedale con il suo bambino. Non ha paura che possano venire e aggredirla di nuovo? 

«No, adesso che ho trovato la forza di denunciare non temo più nulla. Mi fido delle forze dell’ordine».

Si è pentita della sua scelta?

«No, era da molto tempo che avevo deciso di smettere di rubare, volevo avere una vita come tutti».

Da quando esattamente?

«Da quando sono stata arrestata. Sono rimasta in carcere per cinque anni che mi sono serviti a capire che un altro tipo di vita è possibile, che si possono guadagnare i soldi anche lavorando e non solo rubando. E così, quando la scorsa estate sono uscita di prigione, ho deciso di ribellarmi e di dire basta alla mia vecchia vita».

Quando ha iniziato con gli scippi?

«Alle scuole medie. Dopo la morte di mio padre e l’esaurimento di mia madre. Io non sono nata in un campo rom, ma da una famiglia croata che poi si è trasferita in Italia. Vivevo con i miei a Firenze. Ma all’improvviso mi sono trovata sola e non sapevo cosa fare per vivere. Così ho iniziato con i primi furti e un giorno sono stata avvicinata da un gruppo di zingari».

E loro poi sono diventati la sua nuova famiglia

«Sì, mi sono anche fidanzata e ho avuto 12 figli. Da Firenze sono andata in un campo a Roma e rubavo per guadagnarmi da vivere».

Ora è sola con ben 13 figli. Cosa farà?

«Alcuni figli sono grandi e autonomi. Adesso infatti mi sta aiutando la mia prima figlia, che è anche venuta in ospedale per portarmi i vestitini per il fratello. Ma non voglio coinvolgerla. Deve restare fuori da questa storia e dalla mia vecchia vita...».
 

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