Atlas of Performing Culture: il nuovo libro di Cristiano Leone presentato al Maxxi di Roma

Atlas of Performing Culture: il nuovo libro di Cristiano Leone presentato al Maxxi di Roma
4 Minuti di Lettura
Lunedì 20 Novembre 2023, 14:21

Il nuovo libro di Cristiano Leone, pubblicato da Rizzoli, ha l'ambizione non solo di trattare il fenomeno delle "Performance", ma di inserirlo anche in una dimensione antropologica e storica: si parla dunque di Atlante della Cultura Performativa, analizzando il rapporto tra la forma d'Arte, il suo contesto storico e ambientale, il suo significato e le sue percezioni assolute, oggettive e soggettive.

L'opera

L'Opera stessa, che verrà presentata a Milano e a Roma ed è distribuita in tutto il mondo in lingua Inglese, riserva un'esperienza performativa, che possiamo fruire nella simbologia della sua struttura, caotica e articolata al tempo medesimo, come l'espressione artistica e il suo significato, il corso delle manifestazioni creative e la loro interpretazione storica e culturale.

Il libro sarà anzitutto un viaggio tra varie opere ed autori che rappresentano momenti fondamentali delle Arti performative, tappe che ne definiscono le caratteristiche, ne ripercorrono la storia e ne manifestano le ripercussioni sul tessuto culturale.

Tra 4 continenti -  Asia, Africa, Europa, Oceania e Americhe - e 36 paesi il lettore potrà “viaggiare” con gli occhi, la mente e il cuore tra musei, siti culturali, spazi multimediali, o trasformati dalla cultura, teatri, festival multidisciplinari, musica, arti visive e performative, parchi di sculture e centri culturali ibridi che sfuggono a qualsiasi tentativo di catalogazione.

Oltre 440 le pagine con piu’ di 200 illustrazioni, più di 65 gli “universi di arte performativa”, dal museo su un’isola in Giappone, al Carnevale di Rio, dal rave party nella campagna britannica, a un centro culturale ospitato in un’ex casa funeraria alla periferia di Parigi.

«Non si parla di atlante delle arti performative, ma di atlante della cultura performativa - sottolinea Cristiano Leone - di quella cultura che crea un legame indissolubile, per quanto a volte fugace, tra il pubblico, gli artisti, le architetture create dall’uomo e le forme della natura. Con questo testo si vuole, infatti, valicare la frontiera delle arti e mettere al centro il prodigio che si crea quando la cultura federa, include, e crea nuove comunità., destinate a perdurare ben oltre la durata del singolo evento.

Ciò si evince sin dalla struttura del volume: in copertina troviamo, infatti, una foto di Bert Stein dell’opera di Robert Wilson The Life and Times of Sigmund Freud», pubblicata su Vogue nell’agosto del 1970.

La scelta di quest’immagine, rinviando alla complessità creativa del regista e artista americano, indica che l’universo della cultura performativa abbraccia il teatro, la performance, la poesia, la psicanalisi, la musica, la danza, la moda e tanti altri aspetti. Vi figurano donne e uomini di diverse etnie atteggiamenti; alcuni riflettono, altri giocano, altri ancora si disperano, su una spiaggia in cui l’essere umano dialoga con la natura e imprime orme sulla spiaggia dello spirito del mondo. Il colore blu klein, l’immagine virata e la labbratura, rimandano, invece, all’universo di Yves Klein, al suo lavoro sul corpo, sulla dematerializzazione dell’arte, e alla sua dimensione spirituale.

Il titolo, come uno specchio cangiante, ricorda quanto esso non sia mai lo stesso: dipende invece dall’osservatore e dalle condizioni spaziali e temporali in cui esso si trova”.

Marina Abramovic nell’introduzione

«Per essere un artista performativo, devi odiare il teatro. Il teatro è un impostore; è una scatola nera, paghi il biglietto e ti siedi al buio a vedere qualcuno interpretare la vita di qualcun altro. Il coltello non è reale, il sangue non è reale e le emozioni non sono reali. La performance è il contrario: il coltello è reale, il sangue è reale e le emozioni sono vere. È un concetto molto diverso. Riguarda la vera realtà».

Da Le conclusioni di Atlas of Performing Culture

«Ciò che è sempre più importante capire è che la capacità di fare arte performativa è diventata centrale nella nostra vita quotidiana; il modo in cui le nuove generazioni si relazionano tra loro spiega come il “contatto” umano è sempre più filtrato in una ricerca incessante di esibirsi, di mostrare, e condividere ogni aspetto della propria vita attraverso un filtro digitale. Piattaforme di social media, in particolare TikTok, hanno accelerato questo processo: sono diventati il ​​filtro ideale per esternalizzare una capacità performativa che possiamo definire continua, e che non è più solo una necessità ma un approccio relazionale acquisito. Questa è una modalità di comunicazione che è diventato l’aspetto più determinante e totalizzante dei rituali sociali».

© RIPRODUZIONE RISERVATA