Anish Kapoor a Palazzo Strozzi: il gioco dell'illusione tra cera e specchi

Il grande artista parla anche di Intelligenza artificiale e il sogno dei musei sempre gratuiti

Anish Kapoor a Palazzo Strozzi: il gioco dell'illusione tra cera e specchi
di Laura larcan
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Giovedì 5 Ottobre 2023, 13:30

"Troppo ordine distrugge il modo in cui l'opera può interagire con lo spettatore...". E allora disordine, stupore, inverosimile, sorpresa, irreale. È il credo, il mantra, di Anisk Kapoor, artista tra i grandi, il filosofo della scultura, il genio dei materiali e dei colori puri e primari, il funambolo delle forme "informi", poeta degli specchi, giocoliere delle superfici convesse e concave, dei pieni e dei vuoti. Nato a Mumbay, 69 anni, anglo indiano di mamma ebreo-irachena, col cuore e residenza ormai a metà tra Venezia e Londra, e una giovane compagna piena di estro e bellezza, Anish Kapoor sbarca a Firenze per riscrivere gli spazi di Palazzo Strozzi, con la sua originalissima mostra "Untrue Unreal" dal 7 ottobre al 4 febbraio, realizzata con la cura del direttore Arturo Galansino. Inverosimile e irreale, dunque, è il leitmotiv con cui Kapoor plasma e ribalta la percezione della realtà, soprattutto degli spazi rinascimentali, perfettamente simmetrici, di Palazzo Strozzi. Una sfida per Kapoor ma anche per lo spettatore. "Palazzo Strozzi è appunto simmetrico, qui la sequenza delle sale è rigorosa come un flusso strutturato di ambienti. Fare una mostra qui non è facile. Ho dovuto lavorare per bloccare l'ordine delle sale, inserendo le opere in modo da creare percorsi alternativi fisici e mentali", dice Kapoor. Il risultato? Destabilizzante e affascinante. Come tanta arte con cui Kapoor ha ormai abituato il pubblico in quarant'anni di carriera e creatività legata alla scultura rivoluzionaria. Si parte dal cortile. Un cubo, una sorta di "fortezza bianca piena di vuoto nero", per dirla con Galansino. Un cubo di sette metri e mezzo, fatto di pietra ecologica, con cui l'artista sembra gareggiare col bugnato degli Strozzi. Dentro, il bianco quasi stordisce lo sguardo, mentre tre finestre nere nascondono profondi buchi neri: "Un nero che assorbe gran parte della luce e ci attrae: psicanaliticamente rimanda al mistero in ognuno di noi, al nostro io profondo", dice Galansino. E il percorso al piano nobile è tutto giocato sui colori primari, bianco, giallo, rosso, nero e blu, dalle valenze simboliche della purezza, spiritualità, gioia, l'amore. Con quel "rosso carne e sangue espressione di vita e morte ma anche dei colori primari della pittura fiorentina", osserva Galansino. Ma la mostra è anche una lotta contro la simmetria rinascimentale. Basta la prima sala che "sfonda" il portone nell'altra (senza danni). Eppur si muove! Lo spettacolo è quello di una sorta di trenino lungo un binario composto da strati di cera, che attraversa due stanze, alla velocità di una lumaca. Il titolo in sanscrito (Svayambhu) va tradotto come la cosa "che si fa da se'". Dalla cera al silicone, dalla pietra al pigmento. Non possono non sfilare le opere iconiche che hanno dato fama all'artista. Le forme rivestite di pigmento puro in polveri: per Kapoor è la forma che nasce e si plasma col pigmento. Compare ad effetto la Colonna senza fine, rivestita di pigmento rosso brillante, ad evocare l'idea della scultura in movimento come interazione e compenetrazione di forme nell'architettura. E poi, sorpresa, il nero assoluto nelle stanze bianche, con illusioni ottiche che mettono in discussioni le impressioni. "Nell'era delle fake news Kapoor vuole metterci in guardia", ravvisa Galansino. Opere che meritano un'osservazione prolungata, perché l'artista vuole confrontarsi con l'essenza dello spazio. "L'interno di un vaso è più grande del vaso stesso. Lo vediamo anche in noi: questa cosa che siamo, la nostra vita interiore, è molto più grande del nostro corpo. Se chiudo gli occhi vedo uno spazio che sono io molto più grande", spiega l'artista. Parla con tono appassionato, Kapoor, eterno ragazzo, innamorato dell'Italia, nella sua eleganza minimal chic, con la giacca verde (unico colore secondario di tutta la mostra) sul completo nero. E i titoli sono l'ennesimo colpo di inquietudine, "Scavo con fluido nerastro", "Primo latte", "Ricordo della lingua", "Oggi sarai in paradiso", "Tre giorni di lutto". "Il titolo è sempre importante per me perché crea lo spazio del progetto concettuale", spiega Anish Kapoor. E se gli si chiede cosa pensa dell'Intelligenza artificiale, risponde: "Mi chiedo se l'intelligenza artificiale porti davvero a forme democratiche della creazione, e mi chiedo se non sia invece un percorso associato al capitalismo.

L'atto creativo viene da una dimensione profonda, da una elaborazione interno dell'artista, e l'intelligenza artificiale se ne impossessa. Io resto sopettoso. Poi mi sbaglierò...".

 

E la stanza degli specchi amplifica la ricerca sull'illusione in questa lotta artistica con le leggi della fisica. "Un giorno mentre lavoravo in studio mi sono chiesto: e se invece provassi a riempire lo spazio di specchi? Questo può sembrare un giochino d'artista. Che può fare di tutto, dice una cosa e il suo opposto. Ma in realtà è un progetto molto specifico. Perché se si pensa ad un quadro appeso al muro, tutto quello che c'è nel quadro è lo spazio dentro al quadro,  mentre quello che succede davanti allo specchio, coglie e ingloba tutto lo spazio. E rovescia tutte la prospettiva rinascimentale". E Firenze, cosa ispira a Kapoor? "La scorsa sera con alcuni amici ho fatto una passeggiata intorno al duomo e riflettevo: ci sono voluto oltre 200 anni per costruirlo, il che significa almeno 20 generazioni di committenti e artisti. Segno di fiducia profonda nella cultura. Oggi non e' possibile questo. Viviamo in un clima di sospetto verso la cultura. Per questo penso che i musei dovrebbero essere gratuiti, soprattutto per i giovani, per ripristinare questa fiducia nella cultura...". Applauso. La mostra si conclude con un pezzo di cielo, "Angel", gigantesche pietre di ardesia ricoperte di strati di pigmento blblu intenso. Polvere che solleva idealmente tonnellate di materia.

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