L’appello/«Il Valle chiuso, ferita che Roma non merita»

di Nicola Piovani
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Venerdì 29 Aprile 2016, 00:22
A Roma, quando si nomina il Teatro Valle, in molti siamo d’accordo a considerarlo il più bello della città - qualcuno dice il più bello d’Italia e qualcuno addirittura del mondo. Di fatto questo teatro, il più bello di Roma/Italia/mondo, oggi è chiuso. Scandalosamente chiuso da più di venti mesi.

Né si hanno cenni di imminente riapertura, a meno che non mi siano sfuggiti.
Che tristezza arrivare da piazza Sant’Eustachio e vedere le porte di questa settecentesca meraviglia serrate: un’aria di abbandono, un’immagine lugubre, desolante, facile de leggere come metafora di una città assopita e rintontita nel suo rassegnato degrado culturale. Fino a poco tempo fa, come molti ricordano, il teatro Valle era “occupato”, autogestito “illegalmente” da artisti giovani e creativi, insediatisi a giugno del 2011. Naturalmente la città teatrale capitolina reagì dividendosi: c’era da chi si entusiasmava vedendo questa occupazione come modello di libera cultura, gestita collettivamente dal basso, fuori da clientele e politicume. E c’era chi invece la giudicava una vergognosa prepotenza di anonimi furbetti dilettanti, che con la violenza trasformavano in “centro sociale a cinque stelle” il teatro più bello del mondo/Italia/Roma. Il fatto ebbe comunque risonanza e visibilità, ne parlarono con tono ammirativo persino <CF2>Le Monde</CF> e il <CF2>New York Times</CF>, mi dicono.

Poi un giorno, nell’agosto del 2014, l’annuncio del Comune: il problema è risolto, raggiunto un accordo, gli occupanti lasciano. Scongiurato lo sgombero con i manganelli, che ci avrebbe indotto una clamorosa pubblicità negativa internazionale, il teatro riparte, e la polemica taccia.
Oggi, a distanza di più di un anno e mezzo, il teatro è ancora chiuso e muto, non vi si legge un cartellone presente, né un cartellone futuro prossimo, né futuro lontano. E ci stringe il cuore la visione tombale del glorioso Teatro dove nel 1817 debuttava Rossini con la sua Cenerentola, e che sarebbe fra i più adatti della città, per acustica e logistica, alla produzione e distribuzione di Teatro Musicale. 
 
Vorrei fare un appello al sindaco di Roma, chiunque esso sarà, per ricordargli - o ricordarle - che lo scempio della chiusura di questo tesoro romano non riguarda soltanto i teatranti, quelli che il teatro lo fanno e quelli che il teatro lo frequentano da spettatori: riguarda chiunque abbia a cuore le sorti di una città che, calpestando le eccellenze della propria storia, cancella se stessa. E questo tema coinvolge tutti, anche quelli che a Teatro non ci vanno perché non hanno tempo, perché non hanno voglia, perché preferiscono il cinema o la televisione o la playstation. Quelli che pensano che la civiltà del nostro Paese possa vivere bene anche senza Goldoni, Pirandello, Eduardo, Rossini, Verdi, Puccini… Quelli che confondono la cultura con la “visibilità”.

P.S. La risposta a questo mio pensiero da parte dei pubblici amministratori in genere è la seguente: è facile parlare e fare proclami civili. Ma poi, a realizzarli, ci si scontra con problemi burocratici, amministrativi, politici molto complessi. Lo so, chi fa politica si deve confrontare con la complessità del fare, ben altro dalla facilità del dire. Ma mi sento di rispondere ai politici che affrontare la complessità fa parte anche della loro professione. Un musicista lavorando affronta la complessità di una partitura, un regista la complessità di un set, un medico la complessità di una sala operatoria, un elettrauto la complessità di un carburatore. E la nuova amministrazione capitolina affronterà e risolverà rapidamente, ne sono certo, la complessità che permetta di riaccendere le luci del glorioso Teatro Valle.

*Musicista premio Oscar
 
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