Al Maxxi una mostra per scoprire Instanbul

Sarkis, "Two rainbows", 2015, copyright l'artista, Adagp, courtesy Galerie Nathalie Obadia, Parigi, Bruxelles
di Valentina Bruschi
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Mercoledì 24 Febbraio 2016, 16:05
Città simbolo dell’incontro-scontro tra Oriente e Occidente, Istanbul è l'emblema del “cambiamento globale”, con le sue aspettative e le trasformazioni sociali in atto, nonostante sia al centro di conflitti che, per ragioni storico-geografiche, la rendono oggi obiettivo di atti terroristici. Al Maxxi di Roma una grande mostra, Istanbul, Passione, Gioia, Furore (a cura di Hou Hanru, Ceren Erdem, Elena Motisi e Donatella Saroli, aperta fino al 30 aprile), divisa in sei capitoli, presenta le opere di oltre 40 artisti, architetti e creativi, uniti in un racconto corale e multidisciplinare sull’attuale momento di espansione e rinnovamento urbano della megalopoli. Si tratta della seconda tappa di un progetto-focus sul Mediterraneo e sul rapporto tra Medio Oriente ed Europa, iniziato nel 2014 con la mostra dedicata all’arte contemporanea iraniana e continuerà l’anno prossimo con un’esposizione dedicata a Beirut.

A rose garden?

La mostra si apre con una sezione che prende il titolo da un’opera di video animazione di Extrastruggle (nome con cui si firma l’artista e grafico Memed Erdener) dedicata al celebre Gezi Park di Piazza Taksim dove, nell’estate del 2013, manifestazioni pacifiche di cittadini contro un discutibile progetto di sviluppo urbano furono vennero represse duramente dalla polizia, innescando reazioni in tutto il paese. In 5 minuti, il film A rose garden with epilogue, di Extrastruggle sintetizza un avvenimento le cui ripercussioni diffondono per tutta l’esposizione. Il segno peculiare di questo artista, scelto anche per il design della grafica in mostra, accompagna il visitatore attraverso i diversi capitoli della rassegna, che invitano ad una riflessione su interrogativi esistenziali.

Ready for a change?

Istanbul è al centro di una profonda trasformazione urbana, motivata dalle logiche del profitto, ma è lecito chiedersi se la città sia pronta per questo cambiamento? Questo è il dibattito centrale della seconda sezione della mostra, dove campeggia il grande progetto, Tin City, di Antonio Cosentino, artista turco di famiglia levantina con origini miste: italiane, armene e greche. Una città immaginaria composta da lattine di stagno recuperate per strada e dai bidoni della spazzatura. Edifici di latta che si riferiscono a edifici immaginari tratti da romanzi e dalla fantasia dell'artista: una città costruita dal "nulla ".

Can we fight back?

E’ giusto combattere? Questa parte della mostra si concentra sulla città come fulcro di conflitti sociali e confronti politici. Questioni come l’identità, i diritti, la libertà, la fede sono al centro della riflessione degli artisti. In questa parte della mostra trovano posto anche sia i lavori di Sarkis - artista che ha rappresentato il padiglione turco all’ultima Biennale d’arte a Venezia - che quelli di Mario Rizzi, italiano che ha vissuto a lungo in Medio Oriente e il cui film, Al Intithar, girato in un campo profughi siriano, è attualmente in mostra nella personale alla Galleria Stefania Miscetti (prorogata fino al 20 febbraio). 

Should we work hard? Home for all? Tomorrow really?

Gli ultimi tre capitoli della mostra affrontano altrettante tematiche scottanti - ma non l'attuale emergenza del terrorismo- affrontate dagli artisti con opere che utilizzano diversi linguaggi: è davvero necessario lavorare così tanto? È possibile una convivenza pacifica tra i popoli? Possiamo sperare in un futuro migliore? Oltre ai lavori esposti, il pubblico potrà interagire con alcuni artisti turchi coinvolti nei workshop in calendario e approfondire le tematiche sollevate da questa vasta rassegna attraverso un focus sul cinema turco, la cui ricchezza culturale ha recentemente prodotto Mustang, lungometraggio d’esordio di Deniz Gamze Ergüven, selezionato quest’anno per la corsa all'Oscar come miglior film straniero.
 
 
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