Teatro Roma, all'Eliseo c'è Leo Gullotta: «La parola un ponte tra generazioni»

Teatro Roma, all'Eliseo c'è Leo Gullotta: «La parola un ponte tra generazioni»
di Marica Stocchi
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Lunedì 21 Ottobre 2013, 16:30 - Ultimo aggiornamento: 22 Ottobre, 20:50
stato scritto nel 1979 da Giuseppe Patroni Griffi e rivendica un’attualit cos cocente che sembra scritto stamattina. Così Leo Gullotta presenta Prima del silenzio, spettacolo che apre martedì la stagione di prosa del Teatro Eliseo. La pièce, diretta da Fabio Grossi e interpretata da Gullotta, Eugenio Franceschini, Paola Gassman, Sergio Mascherpa e Andrea Giuliano, sarà in scena fino al 17 novembre. «Uno spettacolo particolare – continua l’attore protagonista – che nasce da un testo bellissimo propostomi da Fabio Grossi due anni fa. Lo straordinario Romolo Valli, per cui Patroni Griffi lo scrisse, morì dopo l’ultima replica nel 1980. Una scelta importante e difficile, quindi, quella di accettare l’avventura di questo allestimento, ma oggi sono felice di averlo fatto».



Al centro, il valore della parola e un confronto generazionale.

«È la storia dell’incontro tra un uomo maturo e un giovane, due esseri umani molto lontani, incompatibili per diverse ragioni, eppure entrambi, per motivi diversi, emarginati dalla società. La parola, per l’uomo che interpreto, è apertura verso gli altri, è testimonianza del passato, possibilità di trasferire il senso della storia nel presente. L’adolescente ha perduto il valore della parola, per lui è solo uno strumento di descrizione della realtà che lo circonda. La prima sfida, quindi, è la ricerca di un linguaggio comune per stabilire una comunicazione».



Nella mente dell’uomo appaiono dei fantasmi…

«La scelta di dialogo col giovane è un atto rivoluzionario per lo status del protagonista. La moglie, il figlio e il maggiordomo gli appaiono come spettri di una famiglia vorace e ricattatoria, di una casta chiusa e autoriferita, di un dovere che costringe e castra col senso di colpa. Un incubo. Quest’uomo, nel suo isolamento, ha fermato la parola tra quelle che gli svolazzano intorno e ne ha cercato la materializzazione nella poesia, ultima spiaggia della sua esistenza».



Vecchi e giovani sono le vittime della società.

«È il nostro presente: il fallimento della società, il fallimento della politica, il fallimento della cultura, il fallimento e la morte della parola. È il risultato di anni in cui l’arte, la scuola, l’università, la ricerca sono state schiaffeggiate e umiliate. È il risultato di un Paese che sceglie di non investire sui propri giovani, che si affida solo alla massoneria, alla cricca, alla tribù. Siamo un popolo storicamente opportunista, ma c’è un Paese onesto che non ne può più di vedere mortificata la qualità, l’energia pulita».



Lei ha sempre scelto di avere al suo fianco giovani interpreti.

«Ho la fortuna di essere un uomo curioso e sono convinto che solo lasciando circolare linfa nuova si può comprendere e costruire un futuro. In questi ultimi anni lo sforzo per produrre spettacoli che nulla togliessero all’occhio del pubblico, sia pure nelle ristrettezze cui siamo costretti, è stato ripagato da spettatori che alla fine della rappresentazione rimanevano lì seduti come a dire «Come è buona quest’acqua, voglio berne ancora».
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