Lo chef Iaccarino: «Ho i ristoranti in giro per il mondo, ma in Italia non trovo più i polli»

Lo chef Iaccarino: «Ho i ristoranti in giro per il mondo, ma in Italia non trovo più i polli»
di Francesco Olivo
3 Minuti di Lettura
Martedì 7 Gennaio 2014, 14:47 - Ultimo aggiornamento: 10 Febbraio, 18:34
Bastano piccoli segnali per capire che nel mondo c’ qualcosa che non va: Alfonso Iaccarino, il mitico Don Alfonso, fa fatica a trovare in giro dei polli ruspanti, dei tacchini buoni e delle uova come si deve. Eppure lui, celebrato chef della costiera amalfitana (Sant’Agata dei Due Golfi è la capitale del suo impero) che ha aperto un ristorante anche nella Capitale, il VivaVoce al Gran Meliá Rome Villa Agrippina, in realtà i prodotti li crea o li rilancia. L’esempio lampante è il pacchero, «la pasta che un tempo si dava ai militari» e che adesso, soprattutto grazie a lui, è diffusa in tutto il mondo «persino all’autogrill l’ho trovata, ma le dico di più: mi sono seduto a un ristorante a Ulan Bator in Mongolia e sul menu leggo “paccheri di Gragnano con pomodoro del Vesuvio”, erano veri e molto buoni».



Cosa ha pensato a quel punto?

«Che l’Italia si può salvare solo così».



Lei ha ristoranti in molte parti del mondo, è appena tornato da Macao, porta lì i suoi prodotti: verrebbe da pensare che questa globalizzazione non causa solo disastri.

«Certo, ma ci sono troppe incognite».



Ce ne dica una.

«Quando vedo che esistono ormai quasi solo due tipi di mela, quando prima ce n’erano venti, mi deprimo. Hanno fatto diventare le mele delle palline senza anima».



Oggi però va di moda lo slow food e non il McDonald’s: non è un buon segnale?

«L’idea che sta alla base dello slow food mi piace molto. Ma bisogna stare attenti a mantenere saldi quei principi».



A quali rischi allude?

«Le multinazionali vogliono metterci le mani e questo cambia tutto».



La cucina romana è troppo semplice per i suoi gusti?

«No, mi piace molto. Aprire il VivaVoce è stato un modo per rendele omaggio».



Oggi si mangia peggio o meglio rispetto a quindici anni fa?

«Si mangia meglio. È cresciuta la cultura del cibo. In cucina ci sono ragazzi laureati, è la modernità che mi piace: avere rispetto per la cultura alimentare non significa fare l’olio come cent’anni fa. A Napoli oggi ci sono almeno 20 pizzerie che fanno un prodotto eccezionale, prima trovavi mozzarella cattiva e olio pessimo».



È anche merito di Masterchef e dei tanti programmi tv con degli chef nelle vesti di star?

«Aiutano a diffondere la cultura culinaria, ma non mi fanno impazzire questi programmi».



A quando un reality?

«Preferisco i fornelli».



Le piacciono i piatti che vede preparare in tv?

«Alcuni sì, ma sono diffidente quando vedo 50 ingredienti per fare un piatto. Per carità in cucina si può fare tutto, ma il risultato è che tutto diventa uguale».



Il cibo cambia o è un elemento immutabile?

«Cambia. Se mangiassimo un abbacchio come si cucinava trent’anni fa, ci metteremmo tre giorni per digerirlo. Oggi è tutto più leggero, anche grazie ai tanti modi per cuocere il cibo».



Quando lei apre nuovi ristoranti nel mondo usa prodotti locali o si fida solo del made in Italy?

«Non mi vergogno a dirlo: quando parto nella mia valigia porto pasta, caffè, olio e pomodori. Direte che sembro un emigrante degli anni ’50, ma quelli sono gli elementi base della mia vita».



La nostra cucina va sempre forte all’estero?

«Sempre di più. E capiscono che l’importante è la materia prima. Pensi che i cinesi volevano a tutti costi coltivare i San Marzano, gli ho dovuto spiegare che i pomodori hanno delle necessità. Se lì non ci sono le quattro stagioni scandite come in Campania diventa impossibile».



Come fa senza polli ruspanti?

«Li allevo io: è l’unico modo».



Il ristorante VivaVoce di Alfonso Iaccarino si trova a Roma all'interno dell'hotel Gran Meliá Rome Villa Agrippina (via del Gianicolo, 3).
© RIPRODUZIONE RISERVATA