Nella sede della galleria capitolina, vicino piazza di Spagna, è esposta una selezione di circa quaranta opere della prestigiosa collezione parmense in dialogo con un numero analogo di opere della Galleria Comunale d’Arte Moderna, nello spirito di reciprocità tra le due istituzioni, entrambe impegnate nella valorizzazione del patrimonio artistico italiano del secolo scorso.
Inizia il percorso uno dei capolavori della Fondazione Magnani, Enigma della partenza, di Giorgio De Chirico. Opera emblematica del 1914, manifesto della Metafisica: una piazza misteriosa, circondata da architetture classicheggianti, immersa in un atmosfera segreta. Momento mitico per eccellenza è quello che trasforma l’uomo in eroe, in errante, in esploratore dell’ignoto. A fare da contraltare al “pictor optimus”, artisti con diverse personalità che sono stati influenzati dalla sua opera, come Felice Casorati, con Susanna, e Franco Gentilini, con la classica plastica dei suoi Giovani in riva al mare.
Al consistente nucleo parmense delle nature morte di Filippo De Pisis e di Giorgio Morandi, dei quali Luigi Magnani fu amico oltre che grande collezionista, vengono accostate opere della raccolta romana che testimonia la contemporanea ricerca formale svolta sulllo stesso tema, da parte di molti artisti italiani: da Marino Marini a Giacomo Manzù, da Ettore Colla a Mario Mafai, da Gino Severini ad Alberto Savinio, solo per citare alcuni autori delle circa cento opere esposte.
L’esposizione valorizza anche alcune delle opere più importanti conservate nella Galleria capitolina, tra le quali, Velocità di motoscafo (1924), di Benedetta Cappa Marinetti, che cattura lo sguardo dello spettatore con una scia che sale verso l’alto fendendo la superficie del mare. Le onde sollevate dal motore si frammentano per diventare triangoli incastonati tra loro, come in un pavimento di maiolica.
La rassegna è arricchita da opere provenienti dal MACRO (Leoncillo) e dalla Casa Museo Alberto Moravia (Toti Scialoia), che attesta la collaborazione tra i diversi musei del Comune di Roma e si conclude cronologicamente con un Sacco di Alberto Burri del 1954, opera di rottura che Luigi Magnani acquistò, pur preoccupato di irritare il suo amico Morandi, che invece giudicò l’opera come frutto di una ricerca artistica rigorosa.
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