Cucchi, l'ospedale Pertini risarcirà la famiglia con 1,34 milioni. Il pg appella sentenza di primo grado

Stefano Cucchi con la madre
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Sabato 2 Novembre 2013, 13:14 - Ultimo aggiornamento: 3 Novembre, 23:58
Sar di un milione e 340mila euro la cifra pattuita tra l'ospedale Pertini e la famiglia Cucchi per il risarcimento del danno conseguente alla morte di Stefano, il giovane deceduto quattro anni fa durante il ricovero in ospedale una settimana dopo il suo arresto per droga. La cifra è stata ufficializzata oggi, dopo le indiscrezioni uscite nei giorni scorsi dopo la notizia dell'avvenuto accordo sul risarcimento.



L'intesa ospedale-famiglia porterà una conseguenza importante nel processo d'appello che sarà fissato nei primi mesi del prossimo anno: la famiglia Cucchi (padre, madre, sorella e nipoti di Stefano), infatti, non sarà presente come parte civile nei confronti di medici (gli unici condannati, cinque su sei per omicidio colposo) e infermieri, mentre contesterà la sentenza di assoluzione emessa nei confronti degli agenti della polizia penitenziaria.



Sono trascorsi quattro anni da quando, il 22 ottobre 2009, Stefano Cucchi morì nel reparto detenuti dell'Ospedale Sandro Pertini di Roma una settimana dopo il suo arresto per droga, e più di quattro mesi dalla sentenza con la quale la III Corte d'Assise della capitale condannò per omicidio colposo cinque dei sei medici imputati e mandò assolti tre agenti della Penitenziaria e tre infermieri.



«Il risarcimento è limitato esclusivamente alla responsabilità sanitaria. L'obiettivo della famiglia è quello di avere giustizia non a metà, ma a 360 gradi. Per questo, andremo in appello anche e soprattutto sulla posizione degli agenti per i quali con soddisfazione la Procura generale ha chiesto alla Corte d'assise d'appello un giudizio completo e non limitato». È il commento di Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi.



«Per noi non è importante il risarcimento ma il riconoscimento. È come chiedere scusa. E per questo lo accettiamo: un risarcimento serve ai vivi e non ai morti», ha detto nei giorni scorsi il padre di Cucchi, Giovanni.



Parole cui fanno eco quelle di Ilaria, la sorella: «Possiamo dire che non avremo pace fino a quando non avremo verità e giustizia - ha detto - Quei medici hanno fatto gravissimi errori, ma devono esser assicurati alla giustizia coloro che lo hanno pestato. Senza quel pestaggio, riconosciuto dalla stessa Corte, Stefano non sarebbe morto».



I pm Vincenzo Barba e Francesca Loy intanto nei giorni scorsi hanno proposto appello contro la sentenza con cui la III Corte d'assise nel giugno scorso ha condannato per omicidio colposo (e non per abbandono d'incapace come chiesto) cinque dei sei medici imputati (un sesto medico fu condannato per falso ideologico), e assolto tre infermieri e tre agenti della Polizia penitenziaria. Il loro atto d'appello che si aggiunge a quello nei giorni scorsi proposto dalle parti civili, che però hanno appellato solo la sentenza assolutoria degli agenti, dopo essersi accordati con l'ospedale per il risarcimento dei danni.



Secondo i pm Cucchi stato "pestato" nelle celle del tribunale di Roma e "abbandonato" da medici e infermieri che lo ebbero in cura nel reparto detenuti dell'ospedale Pertini. In trentasei pagine, la procura contesta punto per punto la sentenza. Ecco che allora ritorna in primo piano la figura di Samura Yaya, detenuto gambiano che disse di aver visto e sentito il "pestaggio" ma ritenuto inattendibile dalla Corte con motivazioni che i pm definiscono «non condivisibili». «Tutte le testimonianze raccolte - si legge nell'appello - confermano quanto riferito riguardo al comportamento degli agenti che in seguito alle insistenti richieste del Cucchi lo colpivano con una spinta e dei calci, in modo da farlo cadere a terra e procurargli le lesioni che ne hanno determinato il ricovero».



Anche la Procura generale, in aggiunta ai pm, ha proposto appello contro la sentenza della Corte d'Assise di Roma. L'atto d'appello è firmato dal sostituto procuratore generale, Mario Remus; è proposto in maniera autonoma, in aggiunta a quello depositato dai pm, studiando il quale «il giudice di secondo grado - si legge nel documento - avrà una cognizione ampia sull'intera vicenda che ha condotto al decesso di Cucchi e potrà verificare la sussistenza di tutti i delitti contestati. La Corte d'Assise d'appello potrà così esaminare l'intero quadro probatorio, comprese le configurazioni giuridiche più appropriate».



La finalità dell'appello del pg - quattro pagine con connotazioni tecniche - è quella di formulare una serie di osservazioni «per togliere eventuali dubbi» sulla configurazione dei reati e sulle condanne da infliggere, nella consapevolezza «la Corte d'Assise d'appello potrà esaminare l'intero quadro probatorio, comprese le configurazioni giuridiche più appropriate». Il pg contesta la decisione della Corte d'assise di concedere a gli imputati condannati le attenuanti generiche («Tali statuizioni sono state fatte in violazione di legge», si legge), concludendo con la richiesta «di dichiarare la penale responsabilità degli imputati, applicando le pene che saranno chieste dal rappresentante del Pubblico Ministero in udienza».