Viterbo, sopravvive a un trapianto di cuore, ma muore per una caduta in ospedale: infermiera a processo

Viterbo, sopravvive a un trapianto di cuore, ma muore per una caduta in ospedale: infermiera a processo
di Silvana Cortignani
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Martedì 5 Luglio 2016, 20:05 - Ultimo aggiornamento: 20:46
Sopravvive a un trapianto di cuore, ma muore per una caduta in ospedale alla vigilia delle dimissioni: davanti al gup del tribunale di Roma con l’accusa di omicidio colposo è finita un’infermiera 43enne di Latina in forza al San Camillo Forlanini. Ma si stanno vagliando anche altre posizioni: se tra la caduta e la tac non fossero trascorse 8 ore, infatti, la vittima avrebbe avuto la possibilità di salvarsi.

Patrizia Moneti, viterbese di 49 anni, madre di un figlio 24enne, è deceduta il 28 marzo 2015 nell’ospedale capitolino dove era stata ricoverata dal 9 novembre 2014 per il trapianto che avrebbe dovuto ridarle la vita. Parti civili il figlio, Francesco Piana, assistito dall’avvocato Samuele De Santis, il marito e due fratelli. Il pm Mario Ardigò ha chiesto il rinvio a giudizio dell’infermiera in seguito alla perizia con cui il medico legale ha accertato il nesso causale tra la morte e la caduta, avvenuta due settimane prima, durante lo spostamento dal letto di degenza a una sedia.

Ma durante l’udienza di oggi i difensori dell’infermiera, Filippo Valente e Giuseppe Ammendola, hanno ottenuto un’ulteriore perizia per scoprire cosa sia successo durante le otto ore trascorse tra la caduta e la tac cui sarebbe stata sottoposta troppo tardi la paziente che, se operata tempestivamente, sostengono i familiari avrebbe potuto salvarsi. Era il 14 marzo 2015 e il giorno dopo la donna, dopo quattro mesi di ricovero, superata la fase più critica del rischio rigetto, sarebbe dovuta tronare a casa, per trascorrere la Pasqua coi familiari.

Invece è morta dopo due settimane di agonia. L’infermiera non avrebbe prestato sufficiente attenzione ai passi della paziente, che sarebbe caduta rovinosamente a terra, battendo la testa e riportando un ematoma sottodurale acuto, diagnosticato con una tac effettuata otto ore più tardi. A quel punto sarebbe scattata la corsa in sala operatoria, ma durante l’intervento sarebbe emersa un’ulteriore emorragia, stavolta inoperabile, per cui la poveretta è finita in coma.

La discussione è stata rinviata al 4 ottobre. “Non possiamo che apprezzare la scrupolosità del giudice – commenta l’avvocato De Santis – per noi c’è una serie di concausalità che hanno portato alla morte di Patrizia, per cause da addebitare esclusivamente all’equipe medica e alle falle dell’assistenza. Poi le percentuali di questa responsabilità sarà un futuro processo a individuarle. Ma per ora un vaglio processuale va fatto”.  Nel frattempo è già passato un anno e mezzo.
 
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