Roma, Tor Bella Monaca come Scampia: «Troppi morti per imitare Gomorra»

Roma, Tor Bella Monaca come Scampia: «Troppi morti per imitare Gomorra»
di Alessia Marani
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Lunedì 7 Novembre 2016, 07:52 - Ultimo aggiornamento: 8 Novembre, 10:34

Una bravata. Forse la voglia di sentirsi un criminale in fuga, di emulare gli eroi negativi della mala che ormai inzeppano le fiction tv. Per poi raccontare agli amici: vedete, li ho seminati. «Qui in molti crescono col mito di Scampia, di Gomorra», racconta un barista del lotto R2 che quei posti li conosce bene perché a Scampia ci è nato. «Invece bisogna lavorare e sudare. Soprattutto studiare, perché altrimenti da qua non si esce». O più semplicemente la paura di ragazzino appena 18enne, di finire di nuovo nei guai, di dovere spiegare alla mamma Barbara come mai si era messo al volante della sua Fiat 500 non avendo ancora la patente. «Manuel aveva preso la macchina della madre e lei non lo sapeva, mi sa che ha avuto paura del rimprovero, che non ci ha capito più niente», racconta un vicino di casa, sui quarant'anni, seduto su una sedia affacciato al parapetto di una delle scale alle palazzine del lotto R4 di Tor Bella Monaca. É qui, nel cuore della piazzetta di via Camassei, all'ombra delle torri di via dell'Archeologia, che Manuel Maruca ha trascorso la sua breve esistenza, tra le retate di polizia e carabinieri a caccia di droga e spacciatori, le storie di gente finita in galera, di altri giovani morti per strada. Sabato pomeriggio è salito sulla 500 grigia, ha imboccato il vialone e subito ha trovato l'alt di una volante della polizia. Non ci ha pensato un secondo, ha messo la retromarcia ed è fuggito via, inseguito come in un film. Si è sbagliato però, alla rotatoria ha imboccato contromano la rampa che dal Gra scende su via di Tor Bella Monaca, ha finito per schiantarsi contro altre quattro auto. Portato in ospedale non ce l'ha fatta, è morto poco dopo. Altre due persone sono rimaste ferite. Fine del film.

VITA NEL CORTILE
Mamma Barbara e papà Pietro ora sono disperati, si sono chiusi in casa. Pietro l'altra sera in pronto soccorso aveva gli occhi consumati dalle lacrime: «Non si può morire per una patente». Manuel era già stato fermato senza patente, era stato anche segnalato per resistenza a pubblico ufficiale. Mamma e papà aspettano il via libera dal magistrato per organizzare il funerale al più piccolo dei loro tre figli, forse per mercoledì. Sulla piazzetta la vita scorre grigia come sempre. «Serve niente?», si avvicina un ragazzo con cappuccio della tuta calato sulla testa. «Niente grazie». Un amico di Manuel racconta: «Lui era tanto timido, non usciva quasi mai. Stava tutto il tempo a giocare alla Xbox. Boh, non so se avesse sogni o progetti per il futuro. Voleva vive però». «Per farlo venire alla festa di una nostra amica una decina di giorni fa, abbiamo dovuto convincerlo», aggiunge un'amichetta. E poi: «Mi sa che gli mancava solo una prova per avere la patente, se avesse aspettato». Qualcuno va giù duro: «Qui i poliziotti che vengono sono sempre gli stessi, Manuel lo conoscevano, sapevano chi era. C'era bisogno di mettersi a inseguirlo? Sapevano dove trovarlo. La droga? No, Manuel non aveva niente e non gli hanno trovato niente addosso».

I MURALES
«Il ricordo è la forza del nostro domani... ciao Tiziano e Patrizio»: lo striscione con i colori biancocelesti dà il benvenuto al R4. Sul cavalcavia di via di via Amico Aspertini campeggia un altro cartello: «Ciao frate'». E poi i murales disseminati per il quartiere. «Vedrai che presto ce ne sarà uno anche per Manuel. Qui i ragazzi muoiono giovani, se ne sono andati in tanti. Li vedi crescere nei cortili, poi salire sui primi motorini, poi le macchine e corrono. Quanti incidenti, quante vite strappate», dice un uomo stretto nel suo giubbotto di pelle scura.
Via Cambellotti, chiesa di Santa Maria Madre del Redentore. «Il parroco non sapeva di quell'incidente, per questo a messa non ne abbiamo parlato. No quella famiglia non la ricordo», spiega un sacerdote. Una signora si avvicina: «La vita non risparmia nulla ai ragazzi del nostro quartiere, ma se si inculca loro che le guardie sono infami e basta, chissà che può scattare allora nelle loro teste. Ne piangeremo altri».