Roma, San Camillo in tilt: 23 letti in una stanza

Roma, San Camillo in tilt: 23 letti in una stanza
di Rosalba Emiliozzi
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Giovedì 6 Ottobre 2016, 08:31 - Ultimo aggiornamento: 11:53
Nello stanzone ci sono 23 pazienti ammassati in letti uno addosso all'altro. E' l'area delle emergenze dove i malati del pronto soccorso stazionano più ore, anche giorni a sentire la loro rassegnazione. Uomini e donne insieme, l'uno accanto all'altra. Estranei costretti a guardarsi, a trasmettersi sofferenza e quel po' di vergogna che sta nel condividere la malattia, anche la più banale. Una donna si alza da un letto girevole, grida verso il medico che passa veloce, «sono qui dottoressa, sono qui», è anziana, sola, cerca la sua attenzione, deve aspettare come tutti, la sua storia clinica è stata incardinata e avrà un percorso, più o meno breve.

LA LETTERA
Il pronto soccorso del San Camillo Forlanini è nell'occhio del ciclone dopo la lettera-denuncia del giornalista di Askanews, Patrizio Cairoli, 38 anni, che ha visto morire il padre «senza in briciolo di dignità», su uno dei letti ammassati nella stanza dei codici bianchi e verdi, sotto gli occhi di tutti. Quella stanza anche ieri era zeppa di pazienti, forse non c'erano malati terminali, come il padre di Patrizio, Marcello Cairoli, 74 anni, ex rappresentante Henkel, ma era intasatissima. E il nervosismo era papabile: «Sono stanco di stare qui, ora m'arrabbio, gli meno» diceva un ragazzo in attesa da tre ore, guardano l'uscio socchiuso della stanza delle visite. Dietro la porta scorrevole, due file di dieci letti, attaccati l'uno all'altro: si scorge un immigrato, un uomo anziano, uno più giovane, una ragazzo, dietro a loro tre donne, è una stanza surreale, a volte fin troppo silenziosa. «Passi qui, in questo piccolo corridoio dietro ai letti, venga» dice la dottoressa al paziente che deve essere visitato. Perché nello stanzone delle emergenze si svolgono anche le visite dei pazienti in attesa nella sala codici verdi deambulanti. Mentre si cammina tra i letti ci si guarda, si intuisce il dolore, si tocca il disagio, in attesa del prossimo step con il medico o gli accertamenti clinici.
La visita è veloce, la dottoressa sa il fatto suo e i tempi ieri pomeriggio, per chi non era gravissimo, erano accettabili: triage dopo un quarto d'ora, in sala d'attesa altri 15 minuti e visita dopo mezzora con terapia e accertamenti da fare. C'è chi, nella sala dei pazienti meno gravi, staziona impaziente dalle 13 e 45, ma ha già fatto una Tac e ci sono i risultati in arrivo, una donna ha una spalla ingessata, un uomo il naso fasciato. Due ragazzi slavi salutano come fossero in un bar, quasi vorrebbero fare due chiacchiere, ma vengono chiamati, è il loro turno di visita.

LE VISITE
E' un andirivieni tra sala d'aspetto, sala visite e area emergenza. Scene di pronto soccorso dove l'ordine non è mai il primo pregio della lista, barelle che entrano ed escono, dolore composto ma lo stanzone grande dei cosiddetti codici bianchi e verdi è una sorta di limbo affollato, senza privacy, dove le facce dei pazienti fanno immaginare le malattie, dove ci si scruta a vicenda. I separé non ci sono o sono contati. Si diventa una sorta di compagni di sventura. Le aree emergenza sono affollatissime, i letti tutti occupati, i pazienti e le pazienti si muovono lenti e nervosi sulle scomode barelle, davvero poco confortevoli quando la degenza dura ore o giorni. Da tempo malati e parenti denunciano che pazienti, anche gravi, sono costretti a stare ammassati in letti a pochi centimetri l'uno dall'altro dove gli infermieri non riescono quasi a passare. A inizio anno erano stati messi anche due materassi a terra tanto era l'affollamento. Ieri no, solo letti con le rotelle, ma stesso intasamento.