Roma, via Salone e i rom stupratori: «Quel campo è terra di nessuno»

Roma, via Salone e i rom stupratori: «Quel campo è terra di nessuno»
di Laura Bogliolo
3 Minuti di Lettura
Sabato 4 Novembre 2017, 08:14
L'anziana si avvicina e sussurra: «Lasciaci stare, allontanati, altrimenti dicono che facciamo la spia, ho paura per i miei nipoti...». Vige la legge del più forte nel campo nomadi di via Salone, definito addirittura dalle forze dell'ordine «terra di nessuno». La scena della nonna intimorita che insegna l'omertà ai bambini rom della sua famiglia, ricorda molto la nonna delle piccole finite bruciate nel camper a Centocelle.

Siamo nell'estrema periferia Est della Capitale, in uno dei campi più pericolosi dove «vivono moltissimi pregiudicati, sono agli arresti domiciliari nei container» spiegava ieri un investigatore. «Mario? Arrestato per stupro? Quanto gli hanno dato?». Preoccupati non tanto per la ferocia del reato di cui è accusato Mario Seferovic, 21 anni, nato a Napoli, bosniaco, residente nel campo di via di Salone insieme al suo complice Maikon Bilomante Halilovic, 20 anni, incensurato fino all'arresto di venerdì (secondo gli investigatori lui non ha stuprato le giovani). Gli abitanti del campo ieri erano preoccupati soprattutto per la pena che gli sarà inflitta e per il tempo che dovrà restare in carcere.

LA PAURA
Musica serba nell'oscurità fa eco nella zona isolata, c'è un via vai continuo di camion e camioncini bianchi, uomini con carrelli pieni di ferraglia compaiono nella buia notte di via di Salone. L'odore è nauseabondo, in terra fango e chissà cos'altro. Un tempo c'erano telecamere e la vigilanza. Ora non c'è più nulla. Ieri sera non c'era neanche una pattuglia dei vigili, non ci sono gli agenti «per problemi con gli straordinari». Nell'ultima audizione sul tema dei roghi tossici, il prefetto Paola Basilone aveva detto chiaramente che il Campidoglio assicurava il controllo dei campi nomadi di Roma soltanto con 5 vigili.

È rischioso, se non impossibile, entrare nel campo se non si è accompagnati da diversi agenti o militari delle forze dell'ordine. A farci da Cicerone nell'inferno del campo abbandonato è un ragazzino. «Non avere paura - dice - ci sono io con te». Si fa fatica a fidarsi, ma si entra. Wurstel per cena su una brace. C'è chi conosce bene Mario: «Sì lo conosco, ma che ha fatto? Lo hanno messo in galera? E per quanto tempo deve restarci?». GLi abitanti delle baracche non sembrano essere sconvolti o disgustati dal reato di cui è accusato Mario.

RISSE E OMERTÀ
Alcuni indicano il container dove abiterebbe con la sua famiglia. «Sta dalla parte dei bosniaci, là in fondo» racconta una ragazza. Bosniaci e serbi sono separati fisicamente dal vialetto che spezza in due il campo dove abitano 600 persone, il 40% è minorenne, secondo l'ultimo censimento del Comune di gennaio. Secondo dati informali in quel campo abitano 800 persone e ci sono liti, faide interne tra le diverse etnie. Molti ieri spiegavano che vorrebbero andare via: «Qui è uno schifo, vogliamo le case». Durante il censimento di gennaio scoppiò una maxi-rissa e cinque persone furono fermate. c'è stata una violenta rissa anche qualche giorno fa e sono dovuti intervenire i carabinieri della Compagnia di Tivoli.

Ieri si doveva stare attenti a non essere falciati dalle auto che a tutta velocità entravano e uscivano dal campo. I furgoni invece tiravano dritti, verso un'altra entrata: quella più nascosta, quella dove si accatastano rifiuti di ogni genere che poi vengono dati alle fiamme creando i roghi tossici. Roghi sui quali è intervenuta la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle periferie che ha chiesto al Campidoglio di agire, subito, per frenare l'evidente smaltimento illegale di rifiuti. Nessuna reazione al momento, purtroppo, da parte del Comune. Tensione anche ieri quando una pattuglia dei carabinieri è comparsa per i consueti controlli. La musica è stata spenta, gruppi di uomini hanno iniziato a fischiare, si è sentito anche il rumore di qualcosa lanciato caduto a terra. Il ragazzino che ci ha fatto da Cicerone ha provato a tranquillizzare. Ma non c'era più tempo per parlare. Si doveva lasciare questa terra di nessuno dove qualunque cosa può accadere.