Roma, schianto sulla Tiburtina: «Mio fratello ubriaco al volante? Impossibile, era allergico all'alcol»

Roma, schianto sulla Tiburtina: «Mio fratello ubriaco al volante? Impossibile, era allergico all'alcol»
di Alessia Marani e Fulvio Ventura
3 Minuti di Lettura
Martedì 7 Febbraio 2017, 07:59 - Ultimo aggiornamento: 8 Febbraio, 19:11

«Mio fratello Riccardo e Federico erano identici, una persona sola. E non dite che Riccardo beveva, perché nemmeno una Coca Cola prendeva: era allergico agli alcolici e anche a certi analcolici e lui, per non avere problemi, preferiva bere solamente acqua, quindi non poteva essere ubriaco al volante». Francesco è uno dei fratelli più grandi di Riccardo Murdaca, il ragazzo di Tivoli, nato a Locri nell'agosto del 98, che sabato notte era alla guida della Mini Cooper bianca che si è andata a schiantare contro il muro di una casa al chilometro 18,800 della via Tiburtina. Nell'impatto è morto anche il suo migliore amico, Federico Baldi, che era seduto dietro insieme a Jessika Gjnaj; davanti, accanto a Riccardo, c'era Ambra Shiliai. Tutti avevano 18 anni, Ambra li avrebbe compiuti l'8 maggio e sognava una grande festa in cui spegnere le candeline e poi un debutto come cantante affrontando i primi provini ufficiali.

 


L'INCHIESTA
Ieri la Procura di Tivoli ha disposto l'autopsia per Murdaca, dando incarico al medico legale di procedere agli accertamenti di rito, compresi i test per capire se il ragazzo avesse abusato di alcol o di sostanze psicotrope. Anche se amici e familiari sono tutti unanimi: «Riccardo era un ragazzo perbene». I compagni di scuola, quelli del centro professionale di Tivoli dove studiava per diventare meccanico, lo ricordano commossi come «bello, sempre vestito bene», come un giovane che «di certo non aveva bisogno di strafare per fare colpo sulle ragazze».
Sul tavolo del sostituto procuratore Luigi Pacifici è arrivato il fascicolo con i primi rilievi della Stradale. Sott'accusa c'è l'alta velocità: forse Riccardo ha spinto troppo sull'acceleratore. Forse per l'inesperienza (aveva conseguito la patente il 2 dicembre scorso) rientrando dal sorpasso a un furgone ha perso il controllo della macchina, molto bassa e con le sospensioni piuttosto rigide. Che ha sbandato sull'asfalto viscido per la pioggia, favorendo un effetto sapone sul saliscendi prima di Setteville di Guidonia. E la Mini Cooper è volata via come una scheggia impazzita fino a sbattere sul muro e a capovolgersi. Quell'auto, intestata alla mamma Suzette, nata a Chicago, a dirla tutta, poi, Federico nemmeno poteva guidarla perché di categoria superiore per potenza a quelle permesse per legge ai neo-patentati. Ma la Stradale di Tivoli sta lavorando per mettere insieme tutti i pezzi del puzzle e non addossare colpe o croci a chi non ne ha; è stato già ascoltato l'unico testimone, l'autista egiziano del furgone Daily che i quattro stavano superando.

UNA BMW PER SOGNO
Mamma Suzette, domenica, si è sentita poco bene. Ieri era stretta nell'abbraccio dei familiari e dei vicini, in quell'angolo di quiete di villini a schiera al quartiere Arci, la stessa zona dove abita anche la famiglia di Federico. Il papà siede vicino al camino. Fuori un cagnolone shar-pei e gli amici più cari. Federico aveva anche un'altra sorella Angelica, gemella di Francesco, e un fratello maggiore, Michael. Adorava la sua terra d'origine, amava la sua famiglia a dismisura e condivideva tutto con Federico, aquilotto doc. «Riccardo già sognava la sua prossima macchina, pensava a una Mustang americana o a una Bmw», raccontano i compagni di scuola. Per lui e per Fede, due rose gialle, una per ciascuno, lasciate sul luogo della morte dal papà di Jessica: «Ciao Federico, ciao Riccardo, da papà di Jessica x sempre».