Un tavolo anti-declino per Roma:
«Fuga delle aziende da fermare»

Un tavolo anti-declino per Roma: «Fuga delle aziende da fermare»
di Andrea Bassi e Simone Canettieri
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Sabato 27 Maggio 2017, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 28 Maggio, 10:31
Un caso isolato è solo un caso isolato. Due casi sono un indizio. Il terzo si può considerare una prova. A Roma, tra imprese in crisi e delocalizzazioni, oramai si è andati anche oltre, si può passare alla categoria superiore: quella delle certezze. E la certezza è che nella capitale si sta assistendo ad un fenomeno che si potrebbe battezzare “Romexit”. L’ultima in ordine di tempo a fare, silenziosamente, le valige, è stata la Esso, la divisione italiana della compagnia petrolifera Exxon Mobil. Altre 200 teste che per non perdere il lavoro dovranno trasferirsi con famiglie al seguito a Genova. La goccia che ha fatto traboccare un vaso che da tempo era sull’orlo. Tanto che, sollecitato dai vertici sindacali nazionali e d’accordo con il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, avrebbe deciso di prendere la situazione in mano. L’idea, alla quale da qualche tempo il ministro ha iniziato a lavorare, è quella di un tavolo interistituzionale. Un luogo dove mettere insieme tutti gli attori in grado di trovare soluzioni ed interrompere il travaso verso il Nord, e Milano in particolare, dei grandi gruppi che hanno sede nell’Urbe. Un tavolo al quale dovrebbero sedere, oltre agli uomini del ministro, i sindacati e la confindustria locale. Con la consapevolezza che il compito è arduo. Innanzitutto perché nella Capitale convivono diversi tipi di crisi. Ci sono quelle industriali, come Alitalia e Almaviva. Due macigni che pesano sul futuro di Roma, la prima con i suoi 12.500 dipendenti e il gigantesco indotto. La seconda con altri 1.600 lavoratori lasciati per strada senza ammortizzatori, il più grande licenziamento collettivo degli ultimi 25 anni. Cinquanta milioni di stipendi venuti meno al Pil romano. Ed ancora, il fallimento di Trony nella Capitale con la chiusura di otto grandi punti di vendita e altri 180 dipendenti lasciati per strada.

LA STRATEGIA
Sulle crisi aziendali il ministero dello Sviluppo economico ha, in effetti, delle competenze. Su Almaviva esiste anche già un tavolo, anche perché è una di quelle quattordici aree di crisi definite «complesse». Anche su Alitalia Calenda è già in campo al fianco dei commissari. Diverso è invece il caso delle delocalizzazioni. Il trasferimento di Sky a Milano non ha a che fare con una difficoltà nei conti della multinazionale controllata dal magnate australiano Rupert Murdoch. Si tratta più di una scelta strategica, di concentrare nella nuova sede di Santa Giulia le attività italiane lasciando a Roma solo un piccolo presidio. Così come nel caso della Esso la decisione non è dipesa da una crisi. Su questi casi le competenze di Calenda sono più sfumate. Ma soprattutto va capito quale deve essere nell’eventuale tavolo il contributo del Comune di Roma. Potenzialmente però la presenza di Virginia Raggi può essere un’arma a doppio taglio. Da una parte, ragionano gli attori principali del tavolo che nascerà, «la sindaca non può non esserci». Sarebbe uno sgarbo istituzionale. Dall’altro però, il timore diffuso è anche un altro: senza iniziative solide e concrete da mettere in campo per evitare la Grande fuga delle aziende, la circostanza si trasformerebbe in un grande palcoscenico per la grillina pronta a sparare sul Governo e sulla Regione. Ecco perché la vicenda «Romexit» va maneggiata con cura, soprattutto alla vigilia di una lunga campagna elettorale.
 
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