A raccontare il nuovo dramma è stata proprio la donna, il cui corpo è ancora segnato dall'acido, nell'udienza a porte chiuse di venerdì in cui ha ricostruito tutte le missive incriminate. Dalle prime lettere arrivate nel 2013, mentre era ricoverata al Sant'Eugenio, alle prese con le prime delle 19 operazioni che ha dovuto affrontare. Fino alle minacce verbali che avrebbero subito i suoi parenti in Bangladesh. «I suoi famigliari hanno contattato i miei e li hanno messi in guardia: ritirate la querela». Di fronte al giudice monocratico, il 54enne del Bangladesh ha respinto le accuse. Tuttavia, nel vano tentativo di difendersi, avrebbe di fatto incolpato la donna per il suo stato di detenzione: «La mia vita è rovinata, ma se ritira la querela, io la perdono». Parole, queste, che l'ex cameriere ha pronunciato in maniera confusa, gelando però tutti i presenti.
«Di fronte a una società che ha difficoltà a condannare questo genere di reati - spiega l'avvocato Maria Teresa Manente dell'associazione Differenza Donna, che difende la ragazza - l'uomo non acquisisce mai consapevolezza di quello che ha fatto». Per questo la giovane, nonostante la giustizia stia facendo il suo corso, vive ancora nel terrore e conta i giorni in cui scadrà la pena del suo aguzzino. Per lei l'incubo si ripete ogni giorno.