Roma, nel palazzo sgomberato anche trafficanti di clandestini condannati

Roma, nel palazzo sgomberato anche trafficanti di clandestini condannati
di Valentina Errante e Adelaide Pierucci
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Giovedì 31 Agosto 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 1 Settembre, 07:43

Drappi alle finestre e divani démodé abbelliti da teli e merletti. Le tv allacciate alle antenne satellitari. Le lavatrici sempre in funzione. I fornelletti da campeggio alimentati da grosse bombole del gas. La media di cinquecento ospiti con punte di settecento. Nel palazzo di via Curtatone, sgomberato tra le polemiche, avevano trovato alloggio anche i quattro trafficanti di essere umani: il capo, condannato a nove anni, dopo un’inchiesta della Capitaneria di porto, coordinata dal pm Carlo Lasperanza, nell’immobile di piazza Indipendenza, aveva il suo quartier generale. Altri tre erano residenti, uno è già stato condannato a quattro anni e cinque mesi, gli altri due sono sotto processo davanti alla corte d’Assise per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina aggravata dalla transnazionalità. Sfuggiti per mesi alle ricerche degli sono stati arrestati nell’immobile pochi mesi fa.

LE REGOLE
Funzionava a doppio servizio il Palazzo di via Curtatone. Alloggio per famiglie di rifugiati e bed & breakfast per gli ospiti di passaggio. Un villaggio inespugnabile. Gestito come una attività commerciale abusiva in un immobile a nove piani interamente occupato. I sette livelli con affaccio su piazza Indipendenza e i due interrati, tutti inaccessibili alla polizia, erano però un porto sicuro per chi mettesse mani al portafogli. Gli addetti alla reception che si davano il cambio dietro ai pc per la registrazione, gli stranieri di passaggio consegnavano dieci euro per una notte. Durante le fasi di sgombero sono stati trovati dei foglietti e ricevute con tariffe anche giornaliere.

Le ricevute testimoniano il giro di affari. Ne sono state trovate a centinaia. Datate anche 2015 e 2016 quando per il palazzo era già stato firmato il decreto di sequestro preventivo e un blitz per lo sgombero poteva essere considerato prevedibile in ogni momento. Quale fosse il contributo dei “residenti”, che per quattro anni hanno trovato alloggio, non è ancora chiaro. Saranno gli accertamenti della Digos sui computer, recuperati nel corso di una perquisizione che continuerà anche nei prossimi giorni, a stabilirlo. Di certo alcune stanze erano destinati agli ospiti fissi, altre a quelle di passaggio. 

GLI OSPITI 
C’è Bereket che ha versato trenta euro per aver soggiornato dal sei al nove settembre del 2016 in una stanza al piano terra. E dieci per una notte, il mese successivo, nella stanza 3 dello stesso piano. Il giorno dello sgombero di ricevute ne sono stati trovate a decine, nei cassetti e nelle credenze. Ogni ospite di passaggio conservava la sua, per non sentirsi abusivo. Alcune sono state recuperate dalla Se.A., la società incaricata di gestire il palazzo per la proprietà, il Fondo immobiliare Omega. Il badge degli ospiti residenti, autorizzate dal fantomatico comitato interno, offriva pure l’opzione subaffitto.

Con la tessera si poteva autorizzare anche un ”delegato” (così riporta il badge), ossia un esterno, sempre con foto e numero di permesso di soggiorno allegati. Dall’occupazione, all’autogestione, alla commercializzazione. La reception nell’atrio con tre postazioni, le brochure con l’edificio stilizzato in bella vista “Palazzo Indipendenza”, i badge di ingresso. E qua e là timbri dello Stato, tra cui due della Presidenza del Consiglio. Se si tratti di un lascito di quando il palazzo ospitava la Federconsorzi e poi l’Ispra o utilizzato per falsificare documenti non è ancora chiaro. E’ certo solo che i magistrati hanno autorizzato la perquisizione dei 32.000 metri quadrati dell’edificio hanno ipotizzato i reati di utilizzo dei sigilli dello Stato e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

LE INDAGINI
La Digos sta ancora recuperando tasselli per ricostruire il funzionamento del Palazzo, sottoposto tra l’altro al vincolo architettonico dal ministero e trasformato in un luogo con regole tutte sue dove un comitato di gestione, con rappresentanze eritree e etiopi, avrebbe fatto affari. Almeno fino all’alba dello sgombero della scorsa settimana.

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