Roma, ospedali: deficit di 700 milioni: in testa San Camillo e San Giovanni

Roma, ospedali: deficit di 700 milioni: in testa San Camillo e San Giovanni
di Mauro Evangelisti
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Sabato 21 Novembre 2015, 09:44 - Ultimo aggiornamento: 9 Novembre, 09:04
Il San Camillo Forlanini viaggia con un disavanzo ben oltre i 150 milioni di euro e solo il personale pesa sui costi per 236 milioni.



Il Policlinico Umberto I nel 2014 ha sfiorato i 90 milioni di rosso e la montagna dei costi supera il mezzo miliardo. Va peggio al San Giovanni, dove il deficit è vicino ai 92 milioni. Bastano queste cifre, messe in fila, per comprendere come il meccanismo prospettato dal governo dei piani triennali di rientro per le aziende ospedaliere a Roma abbia fatto squillare un concerto di campanelli di allarme. Il commissariamento è dietro l’angolo: se i direttori generali non dimostreranno di sapere risanare le aziende saranno sostituiti. In totale - la sintesi è del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin - «il deficit degli ospedali pubblici di Roma è di 700 milioni di euro».



La lista è lunga, basta rileggere i dati pubblicati da Agenas (l’agenzia nazionale della sanità) tratti dai bilanci del 2014. Oltre a San Camillo, Umberto I e San Giovanni, sono pesanti i disavanzi di Policlinico Tor Vergata (73,6 milioni), Sant’Andrea (53,7), Spallanzani (27,4), Ifo (42,5) e Agenzia regionale per l’emergenza sanitaria 118 (19,5). Discorso diverso per il San Filippo Neri: nel 2014 era ancora un’azienda ospedaliera, con un disavanzo record di 104 milioni ma è poi stato assorbito nell’Asl Roma E.




LA CURA In un periodo di conflittualità tra Governo e Regioni, il Lazio però non si pone di traverso di fronte alla mannaia dei piani di rientro per le aziende ospedaliere. Alessio D’Amato, direttore della cabina di regia della sanità del Lazio: «Condividiamo questo percorso per riportare in equilibrio la gestione delle grandi aziende ospedaliere». Ma non si rischia una disarmonia tra il piano di rientro regionale e quelli dei singoli ospedali?



«No, perché gli elementi di fondo sono l’aumento della produttività e la gestione del costo del personale. Ci sono analogie con i programmi operativi regionali. Poi, bisognerà capire come vanno finanziate queste aziende, le tariffe riconosciute sono sottodimensionate rispetto ad alcuni compiti complessi che hanno. Resta un’urgenza: devono contenere i costi e aumentare la produttività». Prendiamo una delle aziende ospedaliere più importanti d’Italia, il San Camillo, un colosso con 1.008 posti letto e oltre 42 mila ricoveri all’anno: ha il record negativo del disavanzo, 158,6 milioni di euro, causato da alcune voci allarmanti dei costi.



Per il personale nel 2014 sono stati spesi 236 milioni di euro, per i farmaci 34,4 milioni. Quanto sarà doloroso applicare un piano di rientro in soli tre anni? Replica il direttore generale, Antonio D’Urso, nominato il 17 aprile del 2014: «I 236 milioni di euro spesi per i dipendenti hanno ragioni storiche. Negli anni sono stati esternalizzati servizi come la lavanderia e la ristorazione, ma il personale è rimasto all’interno dell’azienda». Così al San Camillo magari sono in affanno per il numero scarso di infermieri e medici, mentre non mancano i dipendenti in attività non di primo piano. Ma la vera sfida è eliminare la piaga degli affidamenti diretti o delle proroghe.



«Tutte le acquisizioni di beni o servizi dovranno passare da gare pubbliche, solo in questo modo potremo risparmiare almeno 5 milioni di euro all’anno».
Ma la montagna di 156 milioni di deficit è altissima. «Diciamolo chiaramente - dice D’Urso - andrà anche rivisto il sistema di finanziamento di un’azienda ospedaliera come la nostra che ha valenza regionale. Qui c’è il centro trapianti, ad esempio, per tutto il Lazio, servono risorse proporzionate alla sua importanza».
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