Roma, uccise un nomade e accusò il figlio: per la Cassazione 10 anni sono troppo pochi

Roma, uccise un nomade e accusò il figlio: per la Cassazione 10 anni sono troppo pochi
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Mercoledì 23 Maggio 2018, 22:54
Aveva ucciso un uomo a mani nude, poi aveva accusato il figlio di 10 anni di avere commesso quel delitto per errore: aveva raccontato che il bambino aveva spinto la vittima, che si era fracassato la testa cadendo sull'asfalto. Ora, la Cassazione ha stabilito che la condanna a 10 anni di reclusione emessa dalla corte d'appello di Roma a carico di Manuel Elvis Rossi, sia troppo lieve. I supremi giudici hanno accolto il ricorso del procuratore generale: hanno annullato il verdetto di secondo grado - che aveva dimezzato la pena per l'imputato - e disposto un nuovo processo d'appello. 

Per l'accusa, Rossi avrebbe ucciso Velija Seferovic colpendolo prima con un pugno violentissimo e poi con il calcio di una pistola. In primo grado, la Corte d'assise lo aveva condannato a 18 anni di reclusione, riconoscendolo colpevole di omicidio doloso.
I giudici dell'appello, invece, avevano derubricato il reato in omicidio preterintenzionale, sostenendo che i colpi fossero stati solo due e sferrati con una violenza
«non eccessiva». Sia la vittima che l'imputato vivevano nel campo nomadi della Magliana. Per il Pg, lo sconto di pena non sarebbe stato adeguatamente motivato, visto che a Seferovic sarebbero stati sferrati «due colpi molto violenti, causando la frattura del naso e la frattura della tempia, quest'ultima determinata con un appropriato oggetto contundete. Il secondo colpo, quello mortale, fu inferto dopo che la vittima era stata fiaccata dal precedente». La Cassazione, con la sentenza 23158, ha annullato con rinvio il verdetto di secondo grado ordinando un appello bis «per la riqualificazione giuridica del fatto».
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