Si tratta di Ubaldo Visco Comandini e Andrea Mariano. Il secondo fa parte dell'équipe che in gennaio ha curato e salvato il medico di Emergency che aveva contratto il virus ebola in Sierra Leone. Come si legge nella consulenza disposta dagli inquirenti, redatta dalla dottoressa Mariarosaria Aromataro e dal professor Giovanni Ralli, l'assistenza riservata al paziente dal personale sanitario «non è risultata adeguata rispetto al quadro clinico, con una generale sottovalutazione del rischio di possibili complicanze».
IL RICOVERO
Il calvario ospedaliero, che si concluderà con la morte di Jacopo, inizia il 23 agosto. Il ragazzo fa fatica a respirare, ha la febbre, i linfonodi del collo sono ingrossati. Accompagnato dalla madre, va al pronto soccorso del policlinico Gemelli. Allo smistamento i medici gli assegnano un codice giallo e decidono di tenerlo sotto osservazione. Le cure sono adeguate e la diagnosi è corretta: il ragazzo ha la mononucleosi. Il giorno seguente Jacopo viene trasferito allo Spallanzani, dove viene ricoverato nel reparto Malattie infettive. Il 24 e il 25 agosto, nonostante venga sottoposto a terapia cortisonica, il giovane non migliora: fatica a parlare, non riesce a mangiare, non può nemmeno deglutire. La situazione precipita il 26 del mese: il ragazzo ha un blocco respiratorio e un arresto cardiaco. Operato d'urgenza, viene spostato in Terapia intensiva. Il 29 una risonanza evidenza la presenza di un grave danno cerebrale, con edema diffuso. Il 5 settembre Jacopo muore. I familiari sporgono denuncia. Scatta un'inchiesta, la pm Plastina dispone l'autopsia e incarica due specialisti di stilare una relazione. Come si legge nella consulenza, «una rara complicanza della mononucleosi porta all'ostruzione delle alte vie respiratorie». In questo caso, le indicazioni terapeutiche prevedono «l'ospedalizzazione del paziente finalizzata al monitoraggio dell'evoluzione del quadro clinico con somministrazione di farmaci cortisonici». Se la sintomatologia progredisce, è necessario intervenire «al fine di evitare la possibile evoluzione improvvisa di un evento asfittico». Nei casi più gravi si procede a trattamenti chirurgici, come la tracheotomia o tonsillectomia. Cosa che allo Spallanzani non avrebbero fatto. Dalla cartella clinica di Jacopo, secondo i periti, il rischio «era evidente dalla persistente difficoltà del paziente a parlare e assumere cibo, che si è concretizzata in due episodi acuti, uno annotato il 24 agosto e l'altro due giorni dopo». In sostanza, «la delicatezza della condizione era desumibile». Il personale medico avrebbe dovuto «allertare i sanitari sulla possibilità di un ulteriore aggravamento della funzione respiratoria». Un'adeguata valutazione del quadro clinico, avrebbe imposto «un più attento controllo o un approfondimento diagnostico».