L’etica dei numeri/ Verità sepolte dal polverone sulla Metro C

di Massimo Martinelli
5 Minuti di Lettura
Giovedì 17 Novembre 2016, 00:04
Come si può bucare un polverone mediatico, politico, scandalistico su cui tutti hanno soffiato, tra indignazioni, inchieste, bisticci, ricorsi, dietrologie, iperboli e gare a chi ha più fiato? Basta uno spillo per sgonfiare questa vicenda che, senza scomodare Carlo Emilio Gadda, è un pasticciaccio brutto alimentato ad arte. È la storia della metro C di Roma. Lo spillo sono i numeri, ossia le cifre vere finalmente emerse come reperti archeologici che nessuno voleva portare in superficie.

Numeri che smontano la selva di cifre false, inventate o supposte, e chi grida «uno!» viene superato da chi urla «più uno!», su cui è stato edificato il presunto grande scandalo della metro. Assurto ingiustamente a simbolo del malaffare romano, a improbabile totem di ogni imbroglio, ad alfa ed omega della Negatività e della Sprecopoli eterna. Quanta fatica inutile. Adesso che il Comune di Roma ha deciso di chiudere Roma Metropolitane, attraverso la quale ha gestito la costruzione della linea C, è possibile usare lo spillo numerico e fare un po’ di chiarezza sulla realizzazione dell’opera. E dunque, parlino i numeri. Che sono pubblici, a disposizione di chiunque abbia tempo e voglia di verificarli negli archivi del Campidoglio e del ministero dei Lavori Pubblici. E, soprattutto, sono etici. Descrivono realtà difficilmente confutabili; a differenza delle opinioni e dei commenti, che per natura sono di parte e, spesso, faziosi.

I numeri li ha messi in fila Chicco Testa, che di Roma Metropolitane è stato presidente dal giorno della sua fondazione nel 2005 fino al 2009, in un esemplare articolo sul Foglio. Vediamoli. Ebbene, la parte dell’opera che fino ad oggi è stata realizzata sarebbe dovuta costare poco più di 3 miliardi di euro, per la precisione 3.047 milioni, con l’Iva dell’epoca calcolata al 20 per cento. Invece al 31 dicembre 2013 il costo totale è lievitato a 3.739,8 milioni, con un aumento di poco meno di 700 milioni. Può sembrare una cifra elevata, se non contestualizzata nella maniera corretta, alla luce di altri numeri che devono necessariamente essere considerati. Ad esempio il valore dell’incremento percentuale dei costi, che è del 22,95 per cento in dieci anni. Che è di gran lunga inferiore agli aumenti che si registrano per altre grandi opere, dalle varianti di valico alle linee ferroviarie Tav, fino alla Nuvola dell’Eur a Roma, i quali arrivano al 300 per cento.

E dunque dove sarebbe il Grande Imbroglio? Semmai, sotto il polverone che si è fatto aleggiare su quest’opera, disseppellire i dati di fatto s’è rivelato più arduo che scavare i tunnel e creare le stazioni per la metro. Del resto, la demagogia è sempre stata, e questa ne è una macroscopica conferma sulla pelle dei cittadini di Roma, una robusta coperta sotto cui nascondere la realtà delle cose. Peccato che poi i numeri facciano il loro mestiere di numeri, e alcuni di essi illustrano seccamente i motivi dell’aumento dei costi: solo la rivalutazione Istat dei materiali, imposta dalla legge, è pari al 12,75 per cento. Il passaggio dell’Iva dal 20 al 22 per cento ha inciso per un altro 2 per cento. L’incremento percentuale che resta è del 10-15 per cento e va addebitato alle numerose varianti in corso d’opera che sono intervenute negli anni. Ebbene, Testa calcola che nove di queste varianti sono state prodotte dalle prescrizioni della Soprintendenza e hanno provocato il 60-70 per cento dell’aumento complessivo dei costi. Se a questo dato aggiungiamo il 12,75 per cento (per la rivalutazione Istat dei materiali) e del 2 per cento (innalzamento dell’aliquota Iva), arriviamo a individuare pressoché tutte le cause dell’aumento dei costi per la Metro C.

E anche a smantellare la mistificazione dei dati che imputa questi aumenti a Roma Metropolitane e al Consorzio di imprese.
Tra le verità sepolte c’è dunque anche questa: che certo feticismo dei resti archeologici - che non sono tutti uguali, e la Grande Bellezza non è un totem ma una realtà piena di gradazioni e di diversità, di autentici tesori e di cosiddetti “coccetti” - ha contribuito in maniera fatale a far lievitare i costi e i ritardi di una infrastruttura considerata da tutti vitale. Ma quanti altri numeri e quante altre cifre saranno necessarie prima che, a dispetto delle vestali dell’intangibilità della storia, si imponga il buon senso di capire che non tutto - di certo una grande caserma del II secolo dopo Cristo come quella trovata scavando la stazione di Amba Aradam, ma non altre pietre antiche meno rilevanti e ugualmente paralizzanti - può e deve essere protetto a prescindere, a qualsiasi costo e senza badare all’allungamento dei tempi di realizzazione che la mala-ideologia del conservatorismo archeologico produce? 
Ma anche considerando, variante dopo variante, il danno arrecato alla comunità da questa stortura tipica di certa casta intellettuale, il costo della Metro C arriva ad essere perfettamente in linea con quello di opere analoghe in altre capitali europee. Come Parigi, ricorda Testa, dove la rete metropolitana è sviluppata ed efficiente. L’ultima tratta costruita nella capitale francese, la numero 14, ha le stesse caratteristiche della Metro C, a partire dai treni automatici e senza guidatore, ed è costata mediamente 205 milioni a km, scavando in un sottosuolo senza particolari criticità.

La Metro C ha invece avuto un costo variabile tra i 150 e i 264 milioni, nei tratti centrali e più problematici per la presenza di reperti archeologici. D’altro canto, il Comune di Roma e la Soprintendenza sapevano che avrebbero avuto a che fare con la storia di Roma e firmarono un accordo in cui si concordava di effettuare le necessarie indagini archeologiche ogni volta che se ne presentava la necessità. Addirittura, la Soprintendenza di Roma, in qualche occasione, ebbe modo di paragonare i lavori della metropolitana alla «più importante campagna di scavi archeologici mai realizzata». Confondendo l’interesse pubblico a dotarsi di una rete di trasporti efficiente con quello certamente importante dal punto di vista scientifico, ma limitato ad un certo mondo accademico, di difendere una vecchia idea della città pietrificata che privilegia il proprio passato rispetto alla esigenza urgente, per non dire drammatica, di proiettarsi nel futuro. 

Essere fedeli alla tradizione storica, insomma, significa tenerne vivo il fuoco, non adorarne malinconicamente le ceneri. C’è questa morale un po’ aulica nel pasticciaccio lievitato sulla Metro C ma c’è anche un insegnamento generale di pronto impiego. Così sintetizzato a suo tempo da Socrate: «La ricerca porta alla verità».
© RIPRODUZIONE RISERVATA