La caccia
Alta, bionda, tre lingue, italiano, spagnolo e inglese. Seguendo le rotte della coca, per anni, gli uomini della Fiamme gialle hanno sentito parlare di lei nei dialoghi dei padrini. Sandra Milena Rios Bedoya, “Natalia”, conduceva due vite parallele: ufficialmente, era una escort di stanza sulla Tiburtina, in realtà strizzava l’occhio ai cartelli colombiani. Un giorno, gli investigatori hanno intercettato la sua voce. Sentiva il fiato dei finanzieri sul collo: «Stanno come i cani su di me», spiegò al narcos Jhon Peludo. «Se mi prendono – aggiunse poi – buttano le chiavi». Aveva da poco ricevuto una valigetta gonfia di banconote da un postino delle cosche, così era diventata paranoica: «C’era qualcuno, ha fatto delle foto da lontano», disse al suo interlocutore. Per i magistrati, la escort, «intranea all’organizzazione criminale d’oltreoceano», riceveva il denaro dei calabresi e lo inviava al cartello colombiano con a capo il sanguinario Jota Jota.
La negoziazione
L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore antimafia Nicola Gratteri. I padrini calabresi, stando agli accertamenti, erano pronti ad acquistare 100 chili di coca da piazzare su Roma, ma l’accordo con i cartelli sudamericani sarebbe saltato per questioni legate al prezzo. Tra i protagonisti della negoziazione, due emissari del clan Alvaro, la cosca di Sinopoli che aveva scalato “Il Cafè de Paris”. “La cosa (la coca ndr) è arrivata a Roma, se la piazzo quì mi intasco 100mila euro”, gongolò un fidato dei calabresi.
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