Declino Capitale, si muove il governo. Radiografia della crisi: tasse più alte e fuga delle imprese

Declino Capitale, si muove il governo. Radiografia della crisi: tasse più alte e fuga delle imprese
di Andrea Bassi
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Venerdì 22 Settembre 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 30 Settembre, 14:30
ROMA Fino ad oggi c’erano stati solo degli indizi. Dei campanelli d’allarme, come la chiusura del centro di produzione di Sky di via Salaria e il trasferimento dei dipendenti a Milano, a testimoniare una silenziosa fuga delle aziende da Roma che non più tardi di ieri ha visto anche Unicredit spostare la sua sede legale sotto la Madonnina. Un declino economico della Capitale da molti intuito, ma da pochi studiato e documentato a fondo. Adesso, per la prima volta, a scattare una fotografia precisa dello stato di salute dell’economia capitolina, è stato il ministero dello Sviluppo Economico guidato da Carlo Calenda. In un documento di 44 pagine, che Il Messaggero ha potuto leggere, ci sono tutte le cifre di una lunga crisi che non sembra essere ancora alle spalle. Per questo Calenda ha deciso di inviare il documento alla sindaca Virginia Raggi, al presidente della Regione, Nicola Zingaretti, ai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, per avviare un gruppo di lavoro istituzionale congiunto per provare a tracciare una rotta che porti Roma fuori dalle secche nelle quali è finita.

Le dimensioni della crisi sono, del resto, rilevanti. Nell’ultimo anno, si legge nel documento, si sono registrate 58 crisi aziendali nell’area di Roma e Provincia, con oltre 23 mila lavoratori coinvolti. Dodicimila di questi sono esuberi, 3.200 sono i licenziamenti già effettuati, 2.700 sono in solidarietà, 1.600 in cassa integrazione. Solo la crisi di Alitalia ha coinvolto 9 mila dipendenti. Ma l’elenco stilato dal ministero dello Sviluppo è lungo: ci sono i 1.600 licenziamenti di Almaviva, i 200 di Esso, i 600 esuberi di Securpol, i 619 del gruppo Carrefour, i 700 in cassa integrazione di Metronotte. Eppure, secondo le statistiche, il tasso di occupazione dal 2008 al 2016 è ritornato ai livelli pre-crisi: era il 62,6% all’inizio della crisi, è stato il 62,6% alla fine dello scorso anno. C’è, tuttavia, un «ma». Nella fascia tra i 25 e i 34 anni, nel 2008 il tasso di occupazione era del 73,2%. Oggi è sceso al 64,7%. E tutto a vantaggio dei lavoratori più anziani, quelli della fascia 55-64 anni, che hanno visto salire il loro tasso di occupazione dal 43,7% del 2008, al 58,3% dello scorso anno. Ma la trasformazione produttiva della città emerge prepotentemente da un’altra fotografia: quella delle aziende “morte” e “nate”. In termini assoluti il numero di imprese risulta aumentato: erano 428 mila alla fine del 2008, sono salite a 486 mila nel 2016. Ce ne sono 91 per chilometro quadrato. È un dato solo all’apparenza positivo. 

LA FOTOGRAFIA
Se questa stessa fotografia la si guarda con maggiore attenzione, si scopre che in questa crescita in valore assoluto è nascosta una forte riduzione, ben il 13%, delle società per azioni, quelle più grandi e strutturate. A fronte di questo c’è stata una vera e propria «esplosione» di micro-imprese a scarso valore aggiunto, a cominciare dal commercio ambulante salito del 30%. E poi gli affittacamere, un boom del 150%. Anche qui l’esperienza quotidiana probabilmente è arrivata prima dei numeri. Che questo nuovo assetto produttivo non abbia portato benefici alla Capitale, si capisce anche dai dati del Pil. La città eterna ha un valore del prodotto interno lordo reale che è ancora 5,5 punti percentuali al di sotto di quello del 2008. Certo, un dato più o meno in linea con quello dell’Italia e del Lazio (-6%), ma altri hanno fatto meglio: l’Emilia Romagna è a -2,3%, l’Abruzzo a -2,8%, la Lombardia a -3,3% con Milano che ha un prodotto superiore di quello del 2008 dell’1%. Del resto, per la Capitale non è semplice attirare imprese e lavoratori con la pressione fiscale che si ritrova. A Roma, rispetto a Milano, per esempio, un’impresa si trova a pagare il 24% in più di Irap. Un lavoratore ha un’addizionale Irpef superiore del 40-57% a seconda della fascia di reddito nella quale si trova. Nel confronto con le altre metropoli internazionali, poi, la Città eterna scompare: non si classifica per qualità della vita, non pervenuta negli elenchi delle migliori per il business, assente nell’indice di quelle più digitalizzate. L’unica nota positiva è che ha un «brand» forte. Classifica, questa, nella quale occupa il sesto posto. Il brand forte, però, non è sfruttato a pieno sul fronte del turismo, dove pure le potenzialità sono enormi. Per numero di pernottamenti, la Capitale è al quarto posto in Europa dopo Londra, Parigi e Berlino. Ma mentre le altre città hanno accelerato la crescita, Roma sta rallentando. Gli stranieri restano nella Capitale molto meno che nelle alre città europee: 2,6 giorni contro, per esempio, i 6,2 giorni di Londra. Ma, soprattutto, Roma non riesce ad attirare il turismo congressuale e dei grandi eventi. Anche perché di eventi ce ne sono pochi: solo 96 lo scorso anno contro i 196 di Parigi, i 186 di Vienna, i 181 di Barcellona o i 176 di Berlino. Eppure il turismo congressuale è quello che porta più denaro. Basti dire che chi raggiunge una città per partecipare ad una conferenza o a un convegno, spende in media 560 euro al giorno rispetto ai 102 euro di un turista tradizionale. 
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