Roma, 46 clan ma a farsi la guerra sono soltanto i piccoli gruppi criminali

Roma, 46 clan ma a farsi la guerra sono soltanto i piccoli gruppi criminali
di Cristiana Mangani
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Mercoledì 28 Ottobre 2015, 08:26 - Ultimo aggiornamento: 08:42
«A Roma ci sono tante città in una. Ogni omicidio, ogni gambizzazione, possono essere una cosa a sé, indipendenti l’una dall’altra». L’investigatore analizza i fatti criminali commessi nella Capitale di recente. Respinge l’idea di una guerra tra clan, di un ritorno agli anni ’80 dove la Banda della Magliana la faceva da padrona. Niente collegamenti con Mafia capitale, altro tipo di interessi e di malaffare. Oggi gli attentati sono più «un botta e risposta, circoscritti a un quartiere, a un vicolo, a una strada. Piccoli gruppi e grande criminalità organizzata convivono senza farsi la guerra. I calabresi, i napoletani, i romeni, gli albanesi, i cinesi e i russi, hanno scelto la Capitale e i suoi dintorni per costruire le basi di un'articolata rete. Con l’obiettivo di riciclare il denaro e non solo. E così si registrano in totale ben 46 clan che hanno messo le mani sugli affari in città. Mafie italiane e straniere che collaborano nel campo della droga, delle armi, della prostituzione, del gioco d'azzardo e dei falsi. Gestiscono la catena della distribuzione dei prodotti ortofrutticoli, il settore della ristorazione, lo smaltimento di rifiuti, i supermercati, il settore turistico e le agenzie portuali.



LA CONFESSIONE

In tutto questo scenario le gambizzazioni, i ferimenti, gli attentati, spesso hanno un’altra matrice, una diversa origine e natura: il predominio dello spaccio di droga in un quartiere, lo sgarro da punire. «Conosco tutta la realtà di San Basilio - riferisce un pentito ai magistrati - dove alcune famiglie gestiscono 4 piazze: la prima gestita da Cataldi, la seconda detta La Lupa dai Cimino, una terza dai fratelli Primavera (arrestati a luglio scorso dalla polizia, ndr) e dal loro padre, e la quarta dal figlio di tale Fabio “il nero”, di cui non ricordo il nome. C’è poi un’altra piazza che è in mano ai Pupillo Cataldi: ha iniziato con lo spaccio al minuto di hashish e marijuana tra le case popolari di San Basilio. Cataldi opera insieme alla sua famiglia e a una rete di spacciatori, sentinelle e contabili. Negli ultimi 4 anni ha immesso sulla piazza di San Basilio ingenti quantitativi di droga».

Il racconto del collaboratore di giustizia fornisce dettagli che sono poi stati riscontrati dagli inquirenti: «La piazza gestita da Cataldi era quella aperta per più tempo, facevamo i turni. Prima che io arrivassi c’erano tre turni, dalle 7 alle 14; dalle 14 alle 21, e dalle 21 alle 7 del mattino successivo. Si lavorava e si guadagnava molto (oltre 30 mila euro al giorno) perché c’erano meno controlli di polizia. Mi è stato raccontato - aggiunge - che c’era la fila per entrare a San Basilio da via del Casale di San Basilio e fu necessario organizzare la circolazione stradale mettendo degli spartitraffico perché le macchine degli acquirenti si intrecciavano».



LA ROMANINA

Accanto a San Basilio, invece, regna da anni l’enclave dei Casamonica, nei pressi della Romanina. Una realtà, quella di Tor Bella Monaca, che gli investigatori definiscono “piazza di spaccio chiusa”, per la conformazione architettonica, l’utilizzo di sentinelle, di telecamere e cancellate abusive. La piazza chiusa - viene spiegato - garantisce un controllo serrato dell’attività di spaccio, diversamente da quanto avviene nel quartiere Pigneto, dove la vendita è più pressante. L’attività è affidata in prevalenza a spacciatori di origine centro-africana, e svolgono “il commercio” senza l’uso di vedette o barriere. «Lo spaccio e il narcotraffico a Tor bella Monaca - spiegano alla Direzione nazionale antimafia - sono gestiti dalla famiglia Casamonica, ma anche dal clan campano dei Moccia e dal clan Gallace di Guardavalle, in provincia di Catanzaro».



I primi, in particolare, sono in grado di realizzare un controllo capillare del territorio, grazie a pusher e vedette, che sono quasi sempre donne. Ma come è stato più volte sottolineato nei vari processi che si sono succeduti in questi anni, tra i Casamonica e gli altri clan «è stata rilevata sul territorio una costante assenza di conflittualità criminale, sinonimo palese dell’esistenza di un autorevole “brand management” criminale caratterizzato dalla consistenza associativa finalizzata al traffico di droga».
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