Ora risposte alla città/ La caduta degli alibi e il riscatto per Roma

di Mario Ajello
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Venerdì 21 Luglio 2017, 00:02
È caduta l’accusa di associazione mafiosa nella sentenza di ieri. E sono caduti, così, anche un alibi, uno scudo e una clava. Questo è stata Mafia Capitale, per certi partiti e per certa politica, anzi per tutta. È stato un modo per deresponsabilizzarsi (siccome il sistema era mafioso, risorgere sarà compito lungo e quasi impossibile). Per nascondere i propri deficit (sia da parte della maggioranza cinquestelle capitolina sia da parte dell’opposizione) dando sempre la colpa al passato. Per combattersi in nome di una etichetta che serviva a coprire gli interessi delle opposte propagande e ben si prestava all’ipocrisia di quelle forze politiche - come il Pd - che dicevano noi siamo un corpo sano e abbiamo solo poche mele marce, quando invece i poteri marci e le cricche avevano infettato l’intero sistema. 

Tutto ciò non può che venire meno, alla luce del giudizio processuale e storico appena decretato, e si apre una stagione nuova e particolarmente impegnativa. Quella in cui tutti, senza più potersi aggrappare allo strumento Mafia Capitale, a questa etichetta tanto infamante ma anche assai utile per coprire ogni incapacità, finiscono per sentirsi più disarmati e allo stesso tempo più obbligati ad assumersi le proprie responsabilità. Senza poter dare la colpa al Super-Spettro che funzionato finora. 

In una società veloce, ha impressionato la lentezza con cui la politica ha reagito al disastro romano degli ultimi anni. E’ stata incerta, farraginosa, spaesata la ricostruzione di un contesto virtuoso ed efficiente nella Capitale. E si è fatto attendere, proprio perché vigeva la comoda zavorra di Mafia Capitale, l’avvio di una normalità. Dai poteri marci non si è passati insomma, in uno spazio di tempo sostenibile, ai poteri sani. In una città che ha visto addirittura tre sindaci coinvolti, ognuno a modo suo, nella stagione di cui stiamo parlando. Da Alemanno a Marino (intorno al quale è accaduto di tutto senza che egli si accorgesse di nulla), fino alla Raggi che proprio sull’onda di Mafia Capitale è stata plebiscitariamente votata ed eletta. 

Tutti quelli che identificavano il disastro di Roma in Mafia Capitale, adesso che è saltato il coperchio devono affrettarsi a dimostrare capacità di governo (e qualità di opposizione) e a dare risposte pratiche, amministrative e progettuali all’altezza del rango di Roma e della sua storia e dei bisogni che hanno i cittadini. Sapersi mettere alle spalle Mafia Capitale, senza minimamente dimenticare ciò che è stata, rappresenta una sfida vitale. E la condizione giusta per affrontarla a questo punto non manca. Perché dire, come hanno fatto i giudici, che a Roma non c’è la mafia significa anche dire che non c’è radicamento invasivo e generalizzato di quel fenomeno: il che dovrebbe rendere, per i politici, più agevole l’opera di bonifica. La cui urgenza è dovuta al fatto che i romani ancora pagano i danni del malgoverno e della corruzione degli scorsi anni. Questa è infatti una città ancora stordita a causa di ciò che è stato, nella quale permane un senso di contrizione e di vergogna che contribuisce a bloccarla. La conseguenza è che negli uffici amministrativi si stenta a prendere quelle decisioni che ridarebbero all’intero sistema efficienza che i cittadini richiedono e che rappresenta, in una società democratica, un diritto inalienabile delle persone. 

Urge inoltre, in questa nuova stagione della responsabilità e della ricostruzione, ogni sforzo possibile per restituire a Roma la sua immagine. Al di là di ciò che la sentenza ha accertato, di sicuro il marchio d’infamia di Mafia Capitale, questa etichetta mediatica che ha fatto il giro del mondo, ha immensamente danneggiato la nostra città. Non c’è dubbio che - come provano le condanne severe inflitte ieri - sia stato assai meritorio lo scoperchiamento, da parte degli inquirenti, di tutto il verminaio in cui convivevano criminalità e politica. Ma è anche vero che questa lodevole opera di verità e di pulizia abbia avuto il suo naturale risvolto negativo per quanto riguarda il buon nome e la dignità di Roma. I due piani, quello dell’indagine e quello dell’immagine, dovevano restare separati. Invece, ben oltre la volontà dei magistrati, hanno finito per sovrapporsi. Scatenando un effetto di screditamento che ancora pesa su questa città e che in questi anni è diventato senso comune e fattore politico-elettorale, contribuendo grandemente all’avvento del movimento cinque stelle sul Campidoglio. 

La ripartenza senza più alibi, senza più scudo e senza più clava deve dunque estendersi a svariati campi di azione. C’è anche, non ultimo, quello della lotta al mondo di mezzo. Che non è invenzione processuale, come s’e visto, né fantasia giornalistica ma rischio sempre in agguato. Spetta a chi amministra evitare il risorgere o il permanere di certe commistioni che hanno distrutto Roma. C’è finalmente, grazie al processo appena concluso, maggiore chiarezza sulla natura della criminalità e sui meccanismi della corruzione, che non sono stati giudicati tecnicamente mafiosi. Anche in virtù di questo surplus di conoscenza, chi guida la città e chi in essa opera ha la possibilità e il dovere di vincere sul malaffare. Il riscatto pare insomma aver trovato le condizioni giuste per cominciare. Ma guai a sprecare la Grande Occasione. 
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