Atac, c'è l'ombra del boicottaggio: ipotesi ritorsione sindacati esclusi dal business appalti

Atac, c'è l'ombra del boicottaggio: ipotesi ritorsione sindacati esclusi dal business appalti
di Lorenzo De Cicco
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Sabato 6 Agosto 2016, 11:57 - Ultimo aggiornamento: 7 Agosto, 20:07


ROMA Lampadina fulminata? «Ops», l'autobus si ferma e torna in rimessa. Sportello difettoso? Idem. Corsa cancellata e passeggeri a piedi. Una delle 24 porte di un treno metro non si apre? Stesso discorso: «impossibile» proseguire la corsa, anche se tutte le altre 23 funzionano perfettamente. E avanti così, fino ad arrivare a un numero: +60% di guasti dalla metà di giugno ad oggi, rispetto ai due mesi precedenti. Un colpo da kappaò per il trasporto pubblico di Roma, da settimane alle prese con i bus fermi nei depositi per le riparazioni, le corse metro a singhiozzo, le ferrovie urbane stracolme con tempi di attesa record sulle banchine. Certo, i mezzi in dotazione all'Atac sono vecchi (sulla tratta Termini-Centocelle circolano vagoni con più di 60 anni), mancano i pezzi di ricambio perché i fornitori non vengono pagati e hanno smesso di rifornire le officine senza garanzie. Ma dietro al boom di malfunzionamenti, ora, c'è chi intravede l'ombra del boicottaggio. Complottismo? Forse no. Una commissione d'inchiesta istituita dall'Atac ha studiato i danneggiamenti delle ultime settimane. E in una relazione riservata ha messo nero su bianco che nell'ultimo mese e mezzo i guasti sono improvvisamente aumentati «del 60%». La stessa indagine ha tratteggiato l'ipotesi di uno «sciopero bianco» orchestrato ad arte.
 
LA «REGIA»
Orchestrato da chi? La relazione non lo dice esplicitamente. Ma nel quartier generale di via Prenestina una teoria c'è. O meglio, circolano degli interrogativi. È una semplice coincidenza che il collasso della manutenzione sia coinciso con una serie di manovre, operate dai vertici della municipalizzata, che hanno ridimensionato, e non di poco, il potere dei sindacati?
Insomma l'aumento anomalo dei guasti è un dato di fatto. La «regia» dei sindacati al momento è solo un'ipotesi e le indagini sono ancora in corso proprio per accertare se nei depositi di bus e metro sia partito un «ordine», diretto ai conducenti, di mettere il rallentatore alle corse. Per poi addossarne la colpa ai dirigenti.
Una cosa è certa: proprio all'inizio di giugno, appena prima che esplodesse la grana guasti, il management di Atac ha assestato alcuni colpi non proprio indolori a quel sistema nato dall'«intreccio tra politica e sindacati» che, come scrisse l'ex direttore generale Francesco Micheli in un dossier spedito all'ex sindaco Marino, «ha prodotto danni irreparabili, sia sul versante della cultura aziendale sia su quello squisitamente economico». Trasformando la municipalizzata del trasporto pubblico di Roma, quasi 12mila dipendenti, in un'azienda dove al posto del merito «contano fedeltà, appartenenza e cordate».
Cosa ha fatto l'attuale diggì, Marco Rettighieri, approdato nella Capitale a febbraio, dopo avere preso le redini di Expo come general manager? Si è accorto che i distacchi concessi ai sindacalisti erano troppi. Oltre 100mila ore l'anno. E così ha deciso di darci un taglio: prima ha aperto un'indagine interna, che poi è finita in Procura. Subito dopo ha revocato le licenze a 45 attivisti e ha varato una sforbiciata di oltre 10mila ore di permessi. Di più: alle sigle è stato chiesto di risarcire l'azienda per le assenze ingiustificate. E così i sindacati hanno staccato un assegno da 400mila euro per saldare il conto con la partecipata del Campidoglio. Cgil e Cisl, da sole, hanno tirato fuori oltre 200mila euro. L'unico modo per evitare il licenziamento di quei rappresentanti che, per anni, avevano usufruito dei distacchi illegittimi. Solo una sigla non ha trovato un accordo per il risarcimento: l'Ugl. E infatti il suo segretario generale, Fabio Milloch (quello che aveva proclamato lo sciopero dei mezzi proprio mentre la Nazionale giocava agli Europei), è stato accompagnato alla porta con una lettera di licenziamento.

IL BONIFICO
Ma i 400mila euro di penale sono poca cosa se confrontati con l'appalto milionario che è stato sottratto al controllo dei sindacati. Sempre Rettighieri, insieme all'amministratore unico di Atac, Armando Brandolese, a fine maggio ha consegnato in Procura un altro dossier. Stavolta nel mirino è finito il Dopolavoro, una società partecipata al 100% da Cgil, Cisl e Uil e che per 40 anni ha gestito le mense aziendali più una serie di strutture ricreative. Una commessa da oltre 4 milioni di euro l'anno, pagati a piè di lista da Atac. Particolare: non c'è mai stato un contratto. Tutto risale a un vecchio accordo sindacale del 1974. Mai una gara, mai un controllo sul numero effettivo di pasti erogati ai dipendenti (i quali, peraltro, dovevano pagare una quota aggiuntiva ogni volta che si mettevano a tavola). Morale della favola: l'affidamento è stato sospeso ed è stata indetta una procedura aperta per mettere il servizio sul mercato. Al miglior offerente. Subito dopo averlo saputo, i sindacati hanno spedito una lettera al diggì per sospendere «tutte le relazioni industriali».

NUOVA PROTESTA
E ieri è partita un'altra offensiva, attraverso una missiva indirizzata alla Prefettura che ha annunciato l'intenzione dei confederali di proclamare l'ennesimo sciopero. Intanto prosegue la raffica di malfunzionamenti e anomalie sui mezzi. Che si sono tradotte, anche ieri, in decine di corse soppresse. D'altronde, per bloccare un bus, basta che si apra l'anta di un vano esterno. «A volte, quando arriviamo noi - racconta un operaio delle officine interne - sembra che lo sportello sia stato sganciato di proposito. Basta rimetterlo a posto e la vettura riparte». Sarà un miracolo di San Cristoforo, il patrono dei ferrotranvieri.