Incidente Roma, la rom arrestata: «Eravamo 4». Guerra tra clan per proteggere i latitanti

Incidente Roma, la rom arrestata: «Eravamo 4». Guerra tra clan per proteggere i latitanti
di Luca Lippera e Marco De Risi
4 Minuti di Lettura
Sabato 30 Maggio 2015, 08:45 - Ultimo aggiornamento: 31 Maggio, 09:34

Potrebbero essere tre e non più solo due i rom in fuga. I boss di via Cesare Lombroso contro i boss della Monachina, i serbi contro i montenegrini. L'odio e i rancori tra due famiglie di uno stesso clan di nomadi, gli Halilovic, starebbero paradossalmente facilitando la latitanza dei giovani zingari ricercati per l'incidente di mercoledì sera a Primavalle.

Il Tribunale dei Minori ieri ha deciso che la rom diciassettenne che era in macchina con loro resti in carcere con l'accusa di concorso in omicidio volontario.

La ragazza ha aggiunto nuovi particolari e adesso prende piede l'ipotesi che sull'auto con lei ci fossero altre tre persone, almeno due delle quali adulti.

Ma chi ha deciso di aiutare i fuggitivi - la polizia è convinta che un aiuto ci sia e che sia potente - avrebbe altro per la testa. I fuggiaschi, pur essendo imparentati, fanno capo a gruppi che si detestano e i gruppi si stanno interrogando.

Quale dei fuggiaschi si consegnerà per primo e che cosa dirà? Ammetterà di essere stato alla guida della macchina che tre giorni fa ha sconvolto la periferia ovest o accuserà l'altro? Le domande, di fronte al corpo straziato di una donna, la filippina Corazon Abordo, 44 anni, travolta e schiacciata come fuscello mentre tornava a casa dopo il lavoro, possono sembrare un'ignominia ma nella logica criminale non lo sono affatto. I nomadi che sarebbero stati a bordo dell'auto di via Mattia Battistini sono in fuga ormai da tre giorni. Ieri ci sono state ricerche nell'alto Lazio e ai confini con l'Umbria, oltre a nuove perquisizioni nei campi della Monachina sull'Aurelia e di via Cesare Lombroso a Monte Mario.

Ma gli uomini della Mobile di Roma, guidati da Luigi Silipo, sembrano convinti che i pirati di Primavalle siano nascosti in un'abitazione nella Capitale. Le baracche di un accampamento non basterebbero a dargli rifugio e la latitanza nei campi è un'ipotesi più romantica che altro. I gruppi rivali, insomma, starebbero coprendo i pirati in attesa di poter fare la mossa vincente sulla scacchiera dei rancori e delle rivalità: salvare il fuggitivo più “vicino” al proprio clan e mandar l'altro alla deriva verso il suo destino.

PARLA LA RAGAZZA

Uno dei ricercati è il compagno, anche lui giovanissimo, della minorenne zingara comparsa ieri al Tribunale dei Minori in via dei Bresciani. La coppia ha un bambino di dieci mesi. La ragazza, assistita da due avvocati, Valentino Brunetti e Carola Gugliotta, ha affrontato l'udienza di convalida del fermo e sperava di ottenere gli arresti domiciliari. Il giudice invece ha rigettato l'istanza e l'ha rimandata in carcere a Casal del Marmo. La nomade, secondo gli investigatori, si ostina a non raccontare con chiarezza chi fossero le persone a bordo della macchina e chi tra i ricercati - il padre del figlio o l'altro - fosse alla guida. «Io veramente non ricorda - ha detto - forse erano tre, forse eravamo quattro. Chi guidava? Il mio amore no. Però non lo so chi era, non lo conosco».

LE BOMBE

Mentre si gioca la partita attorno alla latitanza dei fuggitivi - ieri il padre di uno di loro è tornato di nuovo in Questura e di nuovo si è autoaccusato dell'incidente - il clima nella zona di via Mattia Battistini resta incandescente. I carabinieri hanno trovato 4 molotov nascoste in un cespuglio a duecento metri dal punto dell'incidente.

Giovedì, all'indomani del sanguinoso investimento, c'è stata una rabbiosa manifestazione di cittadini che hanno chiesto giustizia e hanno duramente criticato le posizioni di chi «parla in modo semplicistico di integrazione». Un segnale lanciato da qualcuno, perché il clima, è quello che è. Lo avverte anche il premier Renzi: «Non saremo tranquilli - ha detto - finché quelle persone che hanno distrutto la vita di una donna non saranno assicurate alla galera».