Rifiuti, 7 arresti a Roma tra cui Cerroni, patron di Malagrotta. Marrazzo indagato

Manlio Cerroni
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Giovedì 9 Gennaio 2014, 09:25 - Ultimo aggiornamento: 10 Gennaio, 09:04

Sette persone sono state arrestate dai carabinieri del Noe di Roma nell'ambito dell'inchiesta sulla gestione dei rifiuti del Lazio. Tra queste, spiccano i nomi del proprietario dell'area della discarica di Malagrotta, Manlio Cerroni e dell'ex presidente della Regione Lazio Bruno Landi. Le accuse sono di associazione a delinquere finalizzata al traffico di rifiuti. Ventuno gli indagati, tra cui Piero Marrazzo.

(Leggi anche Manlio Cerroni, il "re delle discariche")

I nomi. Gli altri arrestati sono Luca Fegatelli, fino al 2010 a capo della Direzione regionale Energia, il manager Francesco Rando, l'imprenditore Piero Giovi, Raniero De Filippis, ex dirigente della Regione Lazio, e Pino Sicignano, direttore della discarica di Albano Laziale. Le indagini sono state condotte dai militari del Noe (Nucleo operativo ecologico) diretti dal colonnello Sergio De Caprio, anche noto come 'Ultimò (che nel 1993 catturò Totò Riina), e coordinati dal capitano Pietro Rajola Pescarini.

Contestualmente agli arresti è stato disposto il sequestro di beni mobili e immobili per 18 milioni di euro.

Gli indagati. Tra i 21 indagati c'è anche l'ex presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo, iscritto per le ipotesi di abuso d'ufficio e falso, in concorso con Manlio Cerroni, Avilio Presutti, Luca Fegatelli, in relazione all'emanazione di ordinanza che consentiva al consorzio Coema di avviare «l'attività per la realizzazione dell'impianto di termovalorizzazione di Albano Laziale», ordinanza ritenuta «illegittima in quanto il commissario straordinario aveva cessato i suoi poteri in data 30 giugno 2008 e il presidente della Regione Lazio era pertanto divenuto incompetente», si legge nelle nell'ordinanza di custodia cautelare.

Tutti ai domiciliari. I sette destinatari delle ordinanze di custodia cautelare emesse dalla magistratura romana sono tutti agli arresti domiciliari. Oltre a rispondere di associazione per delinquere finalizzata al traffico di rifiuti, i sette indagati, a seconda delle posizioni, sono accusati anche di violazione di norme contro la pubblica amministrazione e di truffa in pubbliche forniture.

Il Gip: «Fatti inauditi, Cerroni era il supremo». «Fatti di inaudita gravità anche per le dirette implicazioni sulla politica di gestione dei rifiuti e per le ricadute negative sulla collettività». Così il gip Massimo Battistini, nell'ordinanza di oltre 400 pagine, parla degli episodi legati alla gestione dei rifiuti nel Lazio, a partire almeno dal 2008. In particolare, il magistrato fa riferimento ad una stabile struttura organizzativa «informale» sovrapposta a quella formale delle società relative al gruppo imprenditoriale guidato da Manlio Cerroni. Quest'ultimo, ritenuto «organizzatore e dominus incontrastato del sodalizio» è chiamato da altri indagati «con l'appellativo di 'Supremo'». Subito sotto Cerroni, nella piramide organizzativa - emerge dall'ordinanza - si trova Bruno Landi, il quale si distingue «per la sua capacità di sapersi relazionare con i pubblici funzionari al fine di pilotare l'attività della pubblica amministrazione verso il perseguimento dei 'desideratà di Cerroni». Un ruolo che consentiva, dunque, di condizionare l'attività dei vari enti pubblici coinvolti nella gestione del ciclo dei rifiuti nel Lazio (a partire dalla Regione sino all'Arpa) al fine di consentire al gruppo imprenditoriale riconducibile al «Supremo» di realizzare e mantenere un sostanziale monopolio nella gestione dei rifiuti solidi urbani prodotti dai comuni delle varie aree territoriali ottimali.

Tonnellate di differenziata a Malagrotta. Tonnellate di rifiuti destinati alla differenziata mai trattati e finiti nella discarica di Malagrotta, nonostante i proprietari dell'impianto di differenziazione incassassero diversi milioni di euro. E' quanto emerge dalle indagini dei carabinieri del Noe sul cosiddetto 'sistema Malagrotta' gestito da Manlio Cerroni. Tale «sistema» inoltre implicitamente permetteva di dichiarare Malagrotta in costante emergenza proprio perché, secondo l'accusa, nel conteggio delle cubature di spazzatura finivano materiale non definibile rifiuto tout court come il Cdr (combustibile da rifiuti) e ciò che poteva essere riciclato. Dunque l'emergenza fittizia di Malagrotta produceva, per l'accusa, un nuovo business al gruppo visto che le amministrazioni erano costrette a trovare nuovi siti.

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