Roma, dramma a Regina Coeli, detenuto si impicca in bagno: la figlia di un anno morta due settimane fa

Roma, dramma a Regina Coeli, detenuto si impicca in bagno: la figlia di un anno morta due settimane fa
di Adelaide Pierucci
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Domenica 26 Marzo 2017, 09:17 - Ultimo aggiornamento: 27 Marzo, 08:14

L'aveva vista così piccola nella bara. Un anno appena. Attorno a lei qualche lume, fiori bianchi. Poi, dopo l'ultimo bacio, era dovuto tornare in carcere. Riaffrontare il dolore e la reclusione. Un papà bosniaco di ventinove anni all'alba di ieri si è ucciso nella sua cella di Regina Coeli a neanche due settimane dalla morte dell'ultimogenita, la piccola Iana. Si è impiccato alle sbarre con le lenzuola. Senza lasciare neppure un biglietto. Non era necessario. Lo sapevano le guardie e la direzione carceraria. Erano stati avvisati i magistrati. E pure gli psicologi del braccio. Per questo la procura adesso indaga per istigazione al suicidio.
Vehbjia Hrustic si assentava con lo sguardo, risucchiato com'era dalla disperazione del lutto, lontano dalla famiglia. Gli era stato concesso solo di partecipare al funerale della figlioletta, nata con un cuore debole. Poi, nonostante ogni giorno la situazione peggiorasse, l'istanza di scarcerazione è stata respinta. Il giudice per decidere se concederla o meno aveva sollecitato una relazione dal carcere. «Il detenuto reagisce alla cura farmacologica», erano state le conclusioni.

LE INDAGINI
La procura ora indaga per istigazione al suicidio. Il pm Laura Condemi, titolare del fascicolo, vuole capire se la morte poteva essere evitata. «Rilevato che la relazione consente di escludere una situazione di incompatibilità con il carcere», aveva deciso il tribunale, «si respinge l'istanza della scarcerazione». Una decisione firmata venerdì. L'ultima giornata di disperazione per il detenuto. Quando nelle celle è calato il silenzio più assoluto, tra la mezzanotte e le tre, il progetto di farla finita è stato portato a termine.

LA FAMIGLIA
Hrustic, un rom di origine bosniaca, fatto sloggiare insieme ai sei figli dal campo di via Candoni, aveva preso una casa in affitto fuori Roma e viveva da anni raccogliendo il ferro. Aveva una partita Iva. Era finito in carcere ad agosto per tentato omicidio, con l'accusa di aver esploso un colpo di pistola contro un cugino durante una lite nel campo. E' entrato in carcere da incensurato. Per otto mesi, pur professandosi innocente, aveva affrontato la vita in cella, in vista del processo fissato per maggio. Poi la morte della piccola Iana che si era spenta al Bambino Gesù mentre lui era a Regina Coeli lo aveva fatto sentire un uomo disperato e in gabbia, senza scampo. Il difensore, l'avvocato Michela Renzi, aveva intuito il peggio. Così da giorni si batteva per spuntare la scarcerazione o per lo meno la concessione degli arresti domiciliari. «L'imputato» aveva scritto la penalista al tribunale e al carcere «sta versando in grave condizione di salute psichica. E' totalmente abbandonato a se stesso, demotivato dal prematuro decesso della piccola Iana». «Tale drammatico evento» aveva avvertito «potrebbe portarlo a commettere un gesto estremo». La risposta del giudice competente è arrivata a stretto giro. «Il detenuto sottoposto a terapia farmacologica e piscologica di supporto, allo stato non presenta particolari problematiche di trattamento e appare in grado di elaborare il grave lutto. A scopo precauzionale è stata disposta la sorveglianza del detenuto». I familiari si disperano: «Poteva essere salvato». Ora sei bambini piangono la sorellina e il papà.