Spari a Palazzo Chigi, 16 anni a Preiti: «Non volevo uccidere». La figlia di Giangrande: «Siamo soddisfatti»

Luigi Preiti alcuni momenti dopo aver aperto il fuoco davanti a Palazzo Chigi
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Martedì 21 Gennaio 2014, 15:12 - Ultimo aggiornamento: 22 Gennaio, 17:45

Luigi Preiti condannato a 16 anni per la sparatoria di Palazzo Chigi. Luigi Preiti, che il 28 aprile dello scorso anno davanti a Palazzo Chigi, mentre era in corso l'insediamento del governo di Enrico Letta, sparò contro alcuni carabinieri ferendone quattro, uno in modo particolarmente grave, il brigadiere Giangrande, è stato dunque condannato a 16 anni di reclusione. La sentenza è stata emessa dal giudice Filippo Steidl.

Martina Giangrande, la figlia del carabiniere ferito gravemente da Luigi Preiti, ha assistito in silenzio alla lettura della sentenza in aula. Poi ha dichiarato: «Siamo davvero soddisfatti di questa sentenza, sono venuta qui a Roma a sentire con le mie orecchie cosa sarebbe accaduto. Tra poco lo dirò a mio padre, che è a Prato, visto che per il momento non sono riuscita a sentirlo». Martina Giangrande oggi si è recata al tribunale di Roma per ascoltare il pronunciamento del tribunale e farà ritorno a Prato, dal padre che è ricoverato per problemi respiratori in ospedale «questa sera - ha detto - o al massimo domani mattina».

La sentenza è stata emessa dopo due ore di camera di consiglio al termine di un procedimento tenutosi con il rito abbreviato, che consente all'imputato di ottenere lo sconto di un terzo della pena.

I difensori di Preiti, Raimondo Paparatti e Mauro D'Anielli, avevano invocato il riconoscimento del vizio parziale di mente, ma il gup ha fatto sue le conclusioni di una perizia da lui disposta secondo la quale l'imputato, al momento del fatto, era lucido.

Diciotto anni di reclusione era stata la richiesta dal pubblico ministero Antonella Nespola per Luigi Preiti, l'uomo che il 28 aprile dello scorso anno davanti a Palazzo Chigi mentre si insediava il governo di Enrico Letta, sparò colpi di pistola ferendo quattro carabinieri.

I reati contestati a Preiti sono quelli di tentato omicidio plurimo, porto abusivo di arma clandestina e ricettazione. Attualmente sono in corso gli interventi degli avvocati delle parti civili costituite nel giudizio e non è escluso che in serata il giudice dell'udienza preliminare possa pronunciare la sentenza.

Tentato omicidio plurimo, porto abusivo di arma clandestina e ricettazione, sono i reati contestati all'imputato, 46enne di Rosarno. A decidere sull'istanza del pm è stato il gup Filippo Steidl.

La telefonata prima della sparatoria Poco prima della sparatoria davanti a Palazzo Chigi, per la quale Luigi Preiti si trova sotto processo, gli uffici della presidenza del Consiglio ricevettero alcune telefonate anonime il cui senso era: «Dovete aiutare la Calabria, dovete dare soldi alla Calabria». L'episodio è emerso oggi nel corso dell'udienza del processo a Preiti, disoccupato calabrese che 28 aprile scorso, giorno di insediamento del governo Letta, fece fuoco davanti a Palazzo Chigi ferendo due carabinieri, uno dei quali in modo grave. Dagli accertamenti seguiti però non sarebbe emerso nessun legame con l'attentato nè le chiamate anonime sono da considerarsi riconducibili a Preiti. Preiti è accusato di tentato omicidio plurimo, porto e detenzione di arma clandestina. L'uomo, che una perizia psichiatrica ha dichiarato capace di intendere e di volere al momento del fatto, ha sempre sostenuto di voler fare un gesto eclatante, legato alla sua condizione di disoccupato, ma di non voler uccidere.

Le dichiarazioni spontanee. «Se potessi mi sostituirei a Giangrande». Così, a quanto si è appreso, Luigi Preiti, il 50enne che il 28 aprile 2013 sparò davanti a Palazzo Chigi, nel corso di dichiarazioni spontanee. Il brigadiere Giuseppe Giangrande è il carabiniero rimasto ferito molto grave dagli spari. «Chiedo scusa a tutti - ha detto Preiti - all'Arma dei carabinieri, ai singoli militari feriti, alla famiglia di Giangrande ed alla mia famiglia. Se potessi mi sostituire a Giangrande prendendomi le sue sofferenze. Non volevo fare quello che ho fatto».

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