Omicidio Varani, in cella dai killer. Prato in lacrime: «Niente pulirà la mia coscienza»

Marco Prato
di Marco Pasqua
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Domenica 13 Marzo 2016, 09:19 - Ultimo aggiornamento: 14 Marzo, 08:01

Marco Prato è seduto su una sedia nera con le gambe in plastica, una di quelle che si usano anche negli uffici. Biblioteca di Regina Coeli, pomeriggio, le sbarre vengono riflesse a terra, attraverso la grande finestra che illumina la sala ricreativa al piano terra. Anche il sole, qui, è più opaco del solito, sono i vetri speciali a filtrare la luce. 


Le gambe accavallate, braccia conserte, dà le spalle alla grande libreria e al tavolo di legno che dominano la stanza. Non è in isolamento, ma in quella che viene definita la seconda accoglienza, quella per i detenuti ai quali vengono riservate tutele maggiori. Necessarie per chi ha tentato il suicidio come lui. Neanche Manuel Foffo è in isolamento, i due sono separati da un piano e trecento metri di corridoi, scale, rotonde. 

CON IL TRIBUTARISTA
Marco indossa scarpe da ginnastica nere, il pantalone di una tuta, grigio scura, e una felpa, blu. Sta parlando con uno dei tributaristi arrestati in questi giorni nella capitale. Al gruppo si avvicina un politico, che sta effettuando un'ispezione per accertarsi delle condizioni delle infermerie di questa struttura. Marco si gira verso la visitatrice e i suoi accompagnatori. Tra di loro c'è anche un conoscente del killer del Collatino, che oggi collabora con il politico sul tema delle condizioni dei detenuti nel Lazio e che, durante l’incontro, resterà fermo all’entrata. Non immagina che in quella stanza c’è Marco Prato e che, per uno strano caso del destino, a breve incrocerà lo sguardo, gli occhi di quel ragazzo che ha intrapreso un viaggio di andata e ritorno verso l'orrore. Marco è tornato, per ricominciare una vita così lontana dalle notti mondane all’Isola Tiberina o dai party al Colle Oppio. E, soprattutto da quei maledetti chill out, le feste a base di droga e sesso che potevano durare anche quattro giorni. Come quella durante la quale, insieme a Manuel, si è accanito sul corpo di Luca Varani. 
 
I ROMANZI
«Sono venuto qui a leggere – dice l'ex Pr e organizzatore di eventi 'arcobaleno' oggi calvo, senza toupet – ho chiesto dei romanzi francesi e mi sono stupito del fatto che li avessero anche qui». Indica la libreria, dietro di lui. Ha la voce flebile, ma non sembra essere sotto l'effetto di sedativi. Parla in maniera pacata, vuole ponderare le parole e guarda spesso verso il basso. Non sembra infastidito dalle domande del politico. Forse si aspettava una visita, oltre a quella del gip, di mercoledì, e a quelle del suo avvocato. Con lui, nella stanza, ci sono altre quattro persone. Presumibilmente sanno perché è lì.

E' una delle prime domande che si rivolgono i detenuti, quando si conoscono, quando superano il muro della diffidenza iniziale: «Tu perché sei qui?». E poi c'è “radio carcere”, il passaparola, le voci sui nuovi arrivati. «Voglio rendermi utile, adesso – dice Prato, che mentre parla non si alza mai dalla sedia – Chiedo sempre di fare dei lavori in questo carcere. Mi sono anche offerto di pulire per terra». Il politico annuisce, mentre l'amico ascolta, a distanza.

LE SIGARETTE
Quel Marco, che oggi parla con una voce flebile, non è più il ragazzo che il conoscente, fermo alla porta, incontrava in discoteca, nei week-end, con il quale parlava di Dalida, dei dj più bravi della capitale, della musica e delle vacanze a Mykonos. Il viaggio nell'orrore, di cui da giorni parlano giornali e tv, deve aver cancellato la memoria di quei giorni apparentemente normali. Anche Marco sa che nulla sarà più come prima. Fumare lo aiuta: «Mi serve per attutire i pensieri, ma non la coscienza».

È allora che questo ragazzo bilingue, che ogni tanto si offriva di dare gratuitamente ripetizioni di francese agli amici, sposta la sedia e la gira verso la porta. Quando alza gli occhi, gira la testa e vede quella faccia conosciuta, rimasta accanto alla porta, in silenzio, come si usa fare durante queste ispezioni nelle carceri. I due si riconoscono ma nessuno ha il coraggio di dire nulla. Pochi secondi nel silenzio più totale, Marco lo guarda fisso negli occhi, le braccia non sono più conserte, e inizia a piangere. Il tempo, però, è finito, le guardie penitenziarie fanno segno di andare.

DIETRO LE SBARRE
Manuel, invece, è al primo piano, nella settima sezione, cella 14. Qui c'è la prima accoglienza, è qui che si trovano i detenuti arrivati da pochi giorni. Non quelli ritenuti a “rischio” e più bisognosi di tutele, come Marco. Il presunto killer di Luca Varani è seduto sul letto. La finestra non è grande, lo speciale vetro è scarabocchiato, fuori si vede un altro palazzo. Le grate che delimitano la cella sono chiuse. Manuel è solo. Sopra al letto c'è soltanto una coperta. Sul comodino un piatto, sono i resti del pranzo, bucce di arancia appoggiate alla rinfusa. Accanto, due pacchi di tabacco e due di sigarette. Quando vede arrivare il politico, si alza. Infila le mani tra le grate.

E' alto, i capelli neri, corti. «Non sto male qui – esordisce, rispondendo al ragazzo che, poco prima, aveva incontrato Prato – Mi trattano tutti bene, non ho nessun problema». Indossa scarpe nere, un pantalone della tuta grigio, un maglione beige. Sotto, cinque strati di t-shirt molto visibili, di vari colori: nere, grigie. E' lui a mostrarle. «Non ho freddo – esordisce – Vedete? Mi copro molto bene», e mostra il suo rimedio contro il freddo. «Gli altri carcerati che ho incontrato sono tranquilli», aggiunge. «Sto qui da domenica - ricorda- che devo fà», e ritira le mani che aveva infilato tra le sbarre per poi allargarle.

LA CELLA SPOGLIA
E' spesso dentro a questa cella, non gira molto, anche se le guardie penitenziarie gli hanno proposto, più volte, di muoversi per vedere l'istituto in cui ora dovrà imparare a fare i conti con la propria coscienza: «Mi hanno detto se volevo visitare anche gli altri reparti. Ma non ho mai voluto. E poi mancavano le sigarette». Ha una fisicità spavalda, è poco loquace, nessun riferimento alla folle notte con quell'amico speciale conosciuto a Capodanno, durante una festa in Centro.

Si gira verso la finestra, non ha più voglia di parlare. Sul comodino non c'è nessun libro, mentre sulla parete sono disegnate tante stelle a cinque punte. Si siede sul letto e guarda fuori dalla finestra, e pure qui il sole sembra non splendere come oltre le sbarre.

marco.pasqua@ilmessaggero.it

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