L’uomo a terra nel vagone vuoto: l’orrore della nostra indifferenza

di Paolo Graldi
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Sabato 24 Settembre 2016, 00:27

Roma che subisce una catena di violenze quotidiane, ferita e sovente senza difesa, quasi arresa davanti a tanta ferocia, un frammento di questa Roma è documentato in un video choc pubblicato dal sito on line del Messaggero.
Un video divenuto immediatamente virale. Un documento che riapre con urgenza l’imponente questione della sicurezza smarrita nelle strade della Capitale, sugli autobus, nella Metro. 

Il fatto di sangue (perché solo così si può definirlo) è racchiuso in una sequenza di immagini sconvolgenti: un minuto e 55 secondi che vanno visti e rivisti, mandati al rallentatore, studiati fotogramma per fotogramma. 
Un documento visivo che il Messaggero.it ha diffuso ieri grazie ad uno scoop di Rino Barillari, “The King”, il re dei paparazzi, un’intera vita a cogliere e mostrare i mille volti della città, e che documenta l’aggressione subìta da una madre e dal figlio in un vagone della Metro B, sotto piazza Bologna il 18 settembre. Maurizio Di Francescantonio e la madre sessantenne: lui, tuttora ricoverato al Policlinico Umberto I con gravissime lesioni al cranio. Operato quand’era in fin di vita.

Il fatto di sangue è noto, la notizia ha avuto la giusta eco su giornali e tg, e tuttavia l’aggressione bestiale di tre giovani casertani ai quali Maurizio si era rivolto chiedendo di «smettere di fumare, qui non si può», si dispiega attraverso le immagini raccolte dalla telecamera di servizio installata all’interno del vagone. 
Di più. È chiara l’intenzione di rispondere a botte selvagge a quel richiamo civile e garbato. Uno dei tre si è caricato di rabbia, è uscito dal vagone ed è rientrato da una diversa porta per fronteggiare il malcapitato: calci con tacco delle scarpe sul viso, sul torace, sferrati per uccidere, intrisi di ferocia da commando di picchiatori professionali. 
Poi la fuga mentre il vagone si svuotava, i passeggeri impauriti, sgomenti per lo svolgersi fulmineo dell’aggressione. Fatti loro, chissà perché si azzuffano così, hanno pensato in molti guadagnando l’uscita e lasciando quell’uomo rantolante, gemente, tramortito, incapace di rialzarsi, quasi preda di una crisi motoria che gli faceva scattare le gambe in cerca di un impossibile appoggio. 

E, accanto a lui, la madre, anch’essa aggredita per essersi avventata a difendere il figlio: sbattuta a terra da quegli energumeni. La scena di Maurizio solo e svenuto nel vagone improvvisamente vuoto racconta molto. Di sfuggita, sulla pensilina, si nota lo sguardo curioso e frettoloso ma anche autenticamente impaurito dei viaggiatori. Ma è un fatto che sgomenta: sono scappati tutti, a gambe levate, come se nulla di quel che avevano appena visto li riguardasse minimamente, come se nessuno sentisse il dovere, almeno ad aggressione esaurita, di avvicinarsi a quel disgraziato per tendergli una mano, accoglierlo tra le braccia, gridare aiuto a più non posso, e magari qualcun altro a mettersi sulle tracce di quel terzetto, cercare di fermarlo o di sbarrargli la strada.

Maurizio è rimasto a terra da solo in quel vagone che si è improvvisamente svuotato: non una strada buia, di notte, con chissà quali nemici da fronteggiare. Ma un vagone della Metro, di giorno, con centinaia di persone intorno. È l’indifferenza diffusa ancorché in qualche misura comprensibile, che indigna: quella sì, l’indifferenza che si lascia vincere dalla paura impaurisce, ci rende sempre più estranei gli uni agli altri, ci avvolge in una cortina di egoismo, dentro la quale ciascuno si ripara dall’obbligo della solidarietà verso il prossimo che chiede ed ha bisogno di aiuto. 
È una constatazione che amareggia e, questa sì, impaurisce perché segnala un degrado intenso dei rapporti di civiltà e di reciproco rispetto. Abbandonare a sé stesso quell’uomo così gravemente ferito pone il problema di un’etica della convivenza che si affievolisce. Eppure, in quella carrozza della metropolitana c’erano anche giovani, studenti, uomini fatti. Qui non si pensa ad atti di eroismo, a gesti di sacrificio, di coraggio: è il comportamento di normale civismo che viene meno, che manca. Estranei tra gli estranei, vittime noi stessi della nostra indifferenza. Anche questo è un pestaggio.

Poi i tre pregiudicati, grazie a un’indagine lampo del commissariato di Porta Pia, sono stati acciuffati. Sballati si aggiravano nella zona. Erano gonfi di droga e di alcol, “strafatti” in gergo, la serata passata ad un rave party all’Eur, un’intera notte tra schiamazzi musicali e poi il ritorno barcollante verso casa, dove li conoscono bene: rapina e spaccio. Ora, (per ora), restano in carcere. Il filmato sarà un prezioso supporto, indiscutibile, per i giudici che si sono trovati di fronte a tre bulli sfrontati che interrogati continuavano a negare l’evidenza dei fatti. 
Lo scoop giornalistico di Rino Barillari offre a tutti materiale per riaccendere con forza la questione della sicurezza. Egli stesso, cinque anni fa, fu aggredito e mandato all’ospedale con un femore spezzato, una gravissima frattura, per aver difeso di notte, a piazza Navona, una ragazza malmenata dall’ex fidanzato. Sempre della serie: fatti gli affari tuoi. Ma è la sequenza infinita di violenze che sgomenta e richiede un’azione diffusa e determinata. Un gruppetto di ragazzini fanatizzati, l’altro ieri, ha risposto con la violenza, anche qui calci e pugni e sputi, ad un autista di autobus che ricordava il divieto di fumare con l’invito a scendere. Una baby gang talmente arrogante che poi si è messa a danneggiare l’autobus, scatenando in tutta la potenza la violenza del gruppo.

Una inchiesta giornalistica ancora calda ci segnala che su 110 colonnine di Sos ne funzionano 22, che la presenza di agenti sul territorio, specie alle stazioni della Metro, in particolare alle fermate sotterranee è pressoché inesistente e dunque l’idea dell’agente di prossimità, vicino alla gente, in mezzo alla gente, subisce un colpo durissimo. Quei territori divengono terra di nessuno, o meglio praterie per borseggiatori e zingari in bande organizzate che attaccano e derubano in particolare gli stranieri. Si tratta di un’emergenza, al pari di quella dei rifiuti e dei trasporti. Gli arresti, che pure avvengono, non sfiorano neppure la intensità e la vastità del fenomeno degli scippi e delle rapine: si ammette, ormai, che è inutile denunciarli. 

È chiaro che le tecnologie, come anche dimostra il caso dei tre casertani, divengono indispensabili e la loro capillare diffusione un elemento di utile controllo del territorio: migliaia di occhi vigilanti rassicurano. E’ la presenza fisica delle forze dell’ordine, impegnate in una difficile incombenza sulla sicurezza generale, a mostrare un vuoto che va colmato. Se è vero che la sicurezza è un prodotto e come ogni prodotto costa è inevitabile pagarne i prezzi affinché il prodotto sia buono. 
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