Nonna Pierina spegne 105 candeline e arrivano per lei gli auguri del Papa

Nonna Pierina spegne 105 candeline e arrivano per lei gli auguri del Papa
di Michela Giachetta
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Giovedì 7 Agosto 2014, 11:16 - Ultimo aggiornamento: 14:36

Il centrino che sta facendo turchese, tondo, piccolo. Li preparo per i miei nipoti e li regalo a Natale o a Pasqua, ma adesso non sono sempre cos perfetti come quelli che ricamavo prima, ogni tanto faccio degli errori.

Ieri la signora Pierina Alessandroni, ancora oggi appassionata di ricamo, ha compiuto 105 anni. È nata a Roma il 6 agosto del 1909. In mezzo, in questi 105 anni, due guerre mondiali, una vita passata fra l’opera e i balli, la trasformazione di una città.

E anche un matrimonio, 4 figli, 9 nipoti (il più grande ha 52 primavere), 7 pronipoti (la più piccola 2 anni e mezzo). Parte di quella storia è narrata sulle pareti del suo appartamento sulla Cassia, dove vive da qualche anno con la figlia: foto di lei poco più che adolescente, del marito (è vedova da quasi 50 anni), dei ragazzi che ora affollano la famiglia. E nei centrini sparsi nelle stanze. Uno lo ha spedito anche al Papa, che, attraverso la Segreteria di Stato, le ha risposto, dandole la sua benedizione per i 105 anni.

Racconta della sua vita seduta nel salone di casa. Un vestito colorato, i capelli bianchi, portati con la stessa naturalezza con cui indossa piccoli orecchini di perle. Le mani sottili che ogni tanto accompagnano le parole.

La città. Si illumina quando parla di Roma, delle vie del centro. I suoi genitori avevano una tipografia in via Cavour. «Era una strada bellissima, pulita, gli spazzini passavano sempre, non come ora». Una ragazza non usciva da sola a quell’epoca. «Mi muovevo sempre coi genitori e con mia sorella più grande».

Anni Venti, Trenta. Calze addosso anche in estate, bibbia in italiano e latino in mano. Una famiglia benestante, la sua, da nubile e poi da sposata (il marito era orafo). Tanto che non ha mai lavorato fuori casa: si è occupata dei figli e delle sue passioni. Da ragazzina, il padre spesso la portava in un ristorante vicino a San Pietro, quando via della Conciliazione non esisteva ancora. «C’erano tutte stradine lì davanti, ricordo i supplì che mangiavamo in quel locale».

La gita “in campagna” nei giorni di festa. La campagna era «fuori Porta San Giovanni, andavamo a fare una passeggiata con la macchina». Racconta la paura durante le guerre. La seconda casa nei dintorni di Roma presa dai tedeschi, e poi rilasciata, a fine conflitto, distrutta. Pochi accenni a quei momenti di terrore. Molti, invece, a quelli più spensierati. «Quando ero una ragazza andavamo in via Condotti a copiare dalle vetrine delle boutique i modelli dei vestiti, che poi ci facevamo fare da una sarta». Si mette a sorridere, mentre riveste quei ricordi con le parole.

Le passioni. «Mi piaceva ballare, frequentavamo la Sala Pichetti, fra via del Tritone e piazza San Silvestro». Fa caldo, camminando appoggiata a un bastone, si sposta in un’altra stanza. Ogni tanto chiede di parlare un po’ più forte. Ma la voce della figlia la sente anche a distanza. Sorride quando parla del Teatro dell’Opera, del palchetto prenotato dal padre per tutta la famiglia. L’incontro con Eduardo De Filippo.

«Conoscevo tutte le compagnie teatrali. Prima ho incontrato le comparse, poi anche lui». È ormai quasi ora di pranzo. «Quando era festa a casa preparavamo le fettuccine, buonissime», aggiunge. Mangia ancora tutto, con qualche accortezza. «Sono cambiate tante cose, ma le fettuccine no: quelle sono sempre buonissime».

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