Roma, acqua nei Musei capitolini. E' allarme per gli affreschi: danni e muffa

Il Salone degli Orazi e Curiazi nei Musei Capitolini (foto Stanisxci/T
di Fabio Isman
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Sabato 23 Novembre 2013, 11:49 - Ultimo aggiornamento: 24 Novembre, 09:29

Dovessero firmare oggi, in quella stessa sala, i Trattati di Roma, che il 25 marzo 1957 istituirono la Cee, la Comunit economica europea, i dodici delegati dovrebbero portarsi l’ombrello. Come pure i rappresentati dei 25 Paesi che, il 29 ottobre 2004, vi hanno sottoscritto la Costituzione per l’Europa. Perché in Campidoglio, nella sala più prestigiosa, quella “degli Orazi e Curiazi”, piove. Come, del resto, è piovuto anche sull’Ara Pacis. Piove dentro.

E l’umidità mette a rischio capolavori dei più famosi: assai intimamente collegati alla storia e alla leggenda stesse dell’Urbe. Gli immensi affreschi di Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino (1568-1640) che eternano il primo dei sette re, Numa Pompilio; il ritrovamento della Lupa; il duello, tre per parte, di Orazi e Curiazi; il Ratto delle Sabine. E, a tener loro compagnia, i busti marmorei di due artisti tra i più rilevanti, Gian Lorenzo Bernini e Alessandro Algardi, che ritraggono due dei pontefici più importanti: Urbano VIII Barberini e Innocenzo X Pamphilj.

Perfino la porta della sala è una scultura in legno che risale al 1643. Insomma, ce n’è abbastanza per dire che siamo davvero nel cuore della Città eterna.Eppure, nel Palazzo dei Conservatori, nel nucleo più antico dello stabile, piove come se fosse una casa diroccata. Qui furono collocate le statue bronzee donate al popolo romano da Sisto IV della Rovere, nel 1471; e per questo, i Musei Capitolini sono considerati i primi pubblici al mondo. Ma ora, ci piove dentro. Uno che se ne intende, lo storico dell’arte Bruno Toscano di Spoleto, a lungo docente nella Capitale, predica da tempo che «in Italia, da decenni, si è perduta la virtù antica della manutenzione». Una volta, esistevano le Fabbriche e i fabbricieri, che si prendevano cura, ma cura quotidiana, di un certo monumento. Poi, sono scomparsi. E dopo ancora, i tagli ai bilanci hanno fatto il resto, gettando il settore in una crisi che più grave non si era mai veduta.

Per carità: il complesso Capitolino dipende dal Comune, e non dallo Stato; ma in Italia, nessun settore ha avuto, in percentuale, più decurtazioni di fondi di quello dei Beni culturali. E anche al Comune di Roma, il comparto ha dovuto pagare un alto pedaggio alle ristrettezze contabili. Forse, una leggina che imponesse una verifica, almeno ai maggiori monumenti, non suonerebbe stonata; un piano d’emergenza: la messa in sicurezza delle più rilevanti bellezze del Paese. Nel 1957, questa sala fu scelta perché la più prestigiosa: ve li immaginate Konrad Adenauer, Paul-Henri Spaak, o i francesi Christian Pineau e Maurice Faure (per l’Italia, le firme furono del Capo dello Stato, Antonio Segni, e del ministro degli Esteri Gaetano Martino) costretti a portare il parapioggia perché non si annaffi il protocollo?

Forse soltanto l’ex ministro Giulio Tremonti pensa, come un giorno infausto disse, che «con la cultura non si mangia». Ma forse, nemmeno lui riterrà che con la cultura ci si debba bagnare; forse, i quattrini per queste riparazioni, perfino lui li avrebbe stanziati. Invece Roma, per dirne una, resta ancora in attesa del Sovraintendente. È una carica che nessun’altra città possiede. Il primo fu Raffaello, poi venne anche Antonio Canova. Oggi è ancora vacante, dopo che il sindaco e la giunta si sono insediati da tempo. Verrebbe da dire, celiando, che piove sul bagnato.

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