Basta un cappello in tinta con la maglia e la camicia, il fare esperto, un certo portamento e pure lo steward abusivo, nel deserto, acquista credito.
Specie se sa le lingue e soprattutto non c’è uno straccio di divisa ufficiale all’orizzonte né controllori. E’ mattina, siamo alla fermata metro Flaminio. Lo straniero, con un borsello al collo e l’aria indifferente, aspetta a fianco alle macchinette elettroniche l’arrivo dei passeggeri. Offre loro informazioni in un inglese fluente per andare dove devono andare, «Anagnina è dalla parte opposta»; dà loro consigli «signora, mi raccomando, lo zaino è meglio che lo tiene così, che glielo rubano», entra addirittura nella zona davanti alle scale mobili, per sbloccare il tornello a un’altra signora che ha problemi con il ticket.
Il controllore farlocco ma tanto gentile, non chiede, i turisti spaesati lasciano il resto naturalmente quasi fosse una mancia.
Il giorno dopo la denuncia del Messaggero, alla stazione Termini, dove i rom chiedono il pizzo sui biglietti, ci sono più controlli. Eppure i nomadi non demordono e spuntano ancora vicino alle macchinette pronti a imporre il loro aiuto per poi tenersi il resto. Nella stazione più grande d’Italia, seconda in Europa. Che figura.