Roma, impianti fermi e Ama lenta: le piaghe del sistema pulizia

Roma, impianti fermi e Ama lenta: le piaghe del sistema pulizia
di Lorenzo De Cicco
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Mercoledì 10 Maggio 2017, 07:38
ROMA Una mandria di 1.200 elefanti. O 70 carri armati modello super-pesante. O ancora un centinaio di tir di grandi dimensioni incolonnati uno dietro l'altro. Ecco, per avere un'idea dell'enormità di immondizia che produce ogni giorno la Capitale si potrebbe partire da qualche immagine così. Aiuta a capire perché, se non c'è dietro un sistema collaudato per raccogliere, smistare, trattare e smaltire la spazzatura, Roma va subito in crisi. Maledizione ciclica, più che emergenza, considerato che, per i romani, la famigerata monnezza sui marciapiedi accanto ai bidoni stracolmi è tutto fuorché straordinaria, nonostante il business per il trattamento dei rifiuti valga 2 miliardi di euro in dieci anni.

LA DELEGA IN BIANCO
Il peccato originale è la delega in bianco firmata a un signore che oggi ha 90 anni e che per quaranta ha gestito per conto del Campidoglio l'immondizia capitolina, fino a trasformarla in un monopolio. Manlio Cerroni da Pisoniano, classe 1926, il ras di Malagrotta, quella che fu la più grande discarica d'Europa, 240 ettari dove per decenni i netturbini comunali hanno sversato tra le 4 e le 5mila tonnellate di rifiuti. Praticamente tutta quella prodotta dentro e fuori al Raccordo anulare. Fino a quando, il primo ottobre del 2013, l'ex sindaco Ignazio Marino schiacciò il pulsante game over e l'enorme buca chiuse i battenti. Il problema è che Roma, all'epoca come oggi, non era e non è autosufficiente. Per una sfilza di fattori (e di errori), a partire dal fatto che - e veniamo alla seconda piaga dell'immondizia Capitale altre discariche, a Roma e provincia, non ce ne sono.
Non ci sono, forse, proprio per come si è trascinata per decenni la parabola di Malagrotta, smobilitata dopo una ridda infinita di polemiche e battaglie dei residenti, messa sotto tiro anche da Bruxelles con una procedura d'infrazione per danni ambientali. E così ogni volta che il Comune, negli anni successivi, ha provato a suggerire un nome per un nuovo «sito di smaltimento» (guai a chiamarlo discarica), gli abitanti del luogo hanno issato le barricate fino a quando l'amministrazione non si è dovuta rimangiare tutto. Una strategia da passo del gambero che spiega solo in parte la crisi di questi giorni, ma che serve a comprendere perché il M5S, appena arrivato al governo della città, abbia provato a dribblare la questione. Spiegando che, di nuove discariche, non ce ne sarebbe stato bisogno. Anche se la Regione, a trazione Pd, ha chiesto più volte al Comune di indicarne una, anche «piccola» e «di servizio».

A incagliare quello che gli esperti chiamano «ciclo dei rifiuti», è pure il fatto che nella Capitale gli impianti di trattamento sono pochi. L'Ama, la partecipata del Campidoglio che si occupa di ambiente, per dire, ha solo due Tmb, cioè le strutture di «trattamento meccanico-biologico» che inghiottono la spazzatura indifferenziata e separano i rifiuti organici da carta, plastica e vetro. Anche queste osteggiatissime da chi abita nei paraggi ma soprattutto troppo poche, numericamente, tanto che il Campidoglio, anche dopo avere archiviato Malagrotta, ha bussato alle porte di Cerroni, per sfruttare i suoi, di Tmb, che oggi sono sotto commissariamento dopo un'interdittiva antimafia. Lì ogni giorno arrivano 1.200 tonnellate di pattume. E altra spazzatura ancora viene spedita nelle province del Lazio, in Abruzzo, perfino in Austria.

ASSENTEISTI
Andrebbe detto poi che la raccolta porta a porta, a Roma, non è mai andata veramente a regime, non solo oggi, con interi quartieri sommersi di sacchetti, da Pietralata alla Romanina, da Portonaccio a Tor Sapienza, e dieci municipi su quindici sono in crisi da giorni. Per spiegare i disagi bisognerebbe anche raccontare che ogni giorno in Ama si assentano 1.100 dipendenti, quasi un lavoratore su sette. Nel frattempoda qualche mese, il Comune sta ragionando sull'ipotesi di reintrodurre in alcuni quartieri i vecchi cassonetti stradali, per evitare il pendolarismo da bidone, quel fenomeno per cui, pur di non ritrovarsi con le buste nere (e maleodoranti) dentro casa per giorni, la gente va in trasferta nelle zone dove i contenitori dell'Ama non sono stati ancora smantellati.
Difficile da smantellare, di sicuro, è anche l'inciviltà di certi romani, a giudicare dal colpo d'occhio di materassi, divani e lavastoviglie perennemente abbandonati accanto ai cassonetti, nonostante il ritiro degli ingombranti a domicilio sia gratuito. Più che il «complotto dei frigoriferi», come azzardò la Raggi a ottobre, la banalità della maleducazione.