Dai tanti forfait, al red carpet: Virginia scopre la normalità

Dai tanti forfait, al red carpet: Virginia scopre la normalità
di Simone Canettieri
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Sabato 28 Ottobre 2017, 08:11 - Ultimo aggiornamento: 10:01
Lo scongelamento di Virginia Raggi. O meglio ancora: la normalizzazione. Come l'altra notte: prima sfavillante e boccoluta a favor di flash, sul red carpet della Festa del Cinema, e poi tra le tartine e le strette di mano negli studios Fendi all'Eur. Un po' meno grillina e un po' più sindaca, meno setta più set. Sindaca di Roma, che tutto fagocita: dai barbari ai marziani flaianei. Figurarsi i pentastellati che - dietro la guida di Luca Bergamo, l'unico veramente a proprio agio in quanto non pentastellato - giovedì sera si sono presentati, al contrario dell'anno scorso, al party di apertura del festival con una discreta delegazione (Marcello De Vito, Eleonora Guadagno e l'assessore Gianni Lemmetti) per fare gruppo e non essere di arredamento. E allora ecco Giovanna Melandri: incrocia la sindaca, che non la saluta, e poi chiama il vice Raggi: «Luca, che racconti?». Oppure il «tu» tra Dario (Franceschini) e Virginia.

IL CAMBIO
Insomma, un cambio di paradigma - anche estetico - c'è stato per l'inquilina del Campidoglio. Ammettono i suoi: «E' vero, ora ha una maggiore consapevolezza del ruolo: ma vi ricordate i saluti di Natale in Quirinale quando nessuno andò a stringerle la mano?». Un po' di movimento - tra stadio Olimpico e Internazionali di tennis - c'è stato anche per uscire dall'isolamento, che va funziona, e nemmeno tanto, se si è all'opposizione. Una lenta mutazione che l'altra sera ha avuto la sua sublimazione in un pezzo di Roma un po' stupita: «Toh, c'è la Raggi». Insomma, ciak: si cambia. Nonostante la ritrosia e gli inciampi degli inizi. Per esempio, sembra passata una vita da quando presentarono Carlo Fuortes a Virginia Raggi. E lei, da poco eletta, salutò così il sovrintendente dell'Opera: «Buongiorno, piacere, lasci pure il suo biglietto da visita al mio addetto stampa».

E gli voltò le spalle.
Di cose così - tra sgrammaticature istituzionali e fughe un po' ideologiche dalla mondanità e dalle cerimonie - sono pieni i taccuini. Sempre all'Opera si ricordano la prima dell'anno scorso. Raggi con fascia tricolore accoglie le autorità e poi se ne va da un'uscita secondaria senza assistere allo spettacolo (Tristano e Isotta). Ci sono il celebre minestrone in una trattoria dietro Termini, preferito al presidente del Coni Giovanni Malagò che intanto l'aspettava in Campidoglio, e i forfait all'ambasciata americana o incomprensioni protocollari con il Vaticano. Acqua passata, adesso lo sforzo del Campidoglio va nella direzione opposta. Un difficile equilibrio, tra i richiami di un certo pauperismo anti-Palazzo e anti- gin tonic che piace alla base M5S romana e la necessità di farsi vedere nei posti giusti rimanendo sempre un po' laterali ma sfuggendo dal nannimorettismo del «mi si nota di più se». E quindi «il festival è diventato una festa», ha detto sorridente ed elegantissima Raggi alla party dell'Eur. Anche se lei, come sa chi la conosce bene, ama dire: «A me piace indossare i vestiti che mi cuce mia mamma: ne vado orgogliosa». Ma a volte serve anche il look dell'altra sera. Giacca con elementi in raso, pochette, blusa bianca gioiellata e un paio di pantaloni che, ironia della sorte, si chiamano a palazzo.
 
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