Roma, ultimo giorno per il circolo Pd dei Giubbonari: «Almeno lasciateci la targa»

Roma, ultimo giorno per il circolo Pd dei Giubbonari: «Almeno lasciateci la targa»
di Simone Canettieri
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Giovedì 27 Ottobre 2016, 14:53 - Ultimo aggiornamento: 28 Ottobre, 19:37

Il compagno Angelo prende la parola e va dritto al problema: «Ma almeno la targa qua fuori la possiamo lasciare?». Il riferimento è sicuramente a quella in marmo con la falce e il martello dedicata al partigiano Guido Rattoppatore, più che all'altra in plastica con la scritta Pd centro storico. L'ultimo giorno della sezione di via dei Giubbonari si nutre anche di queste piccole e grandi preoccupazioni. Il passato, una storia lunga 70 anni.


L'impronta che dovrà resistere all'onta dello sfratto, al Comune che si riprenderà le chiavi di questo bilocale. Così rosso antico con le foto di Gramsci-Berlinguer-Iotti (c'è pure Aldo Moro) ma anche con i quadri di Guttuso e con il manifesto appeso Istruitevi, organizzatevi, aiutatevi. Sembrano moniti per i compagni obbligati a sloggiare, che adesso discutono, ricordano, fanno autocritica (ci mancherebbe) e promettono: «Torneremo qui, chiederemo alla sindaca Raggi di mettere a bando questo locale, quella di oggi è una tappa non è la fine di una storia», dice Matteo Orfini, il commissario che ha chiuso tante sedi per Mafia Capitale e che adesso si trova costretto a uscire anche da qui per colpa di una morosità insostenibile (quasi 150mila euro) verso il Campidoglio, così hanno deciso le sentenze dei tribunali. «La colpa è delle amministrazioni di sinistra Veltroni e Rutelli, che negli anni non hanno mai sanato questa vicenda», spiega Fulvio Abbate, scrittore e giornalista che visse in via dei Giubbonari la svolta della Bolognina. «Questa sezione era l'emblema dell'umile Italia pasoliniana, adesso è tutto cambiato». Lo raccontano i profumi (?) di kebab e friggitorie e le luci dei minimarket che puntellano la zona dei turbo-drink. Tutto è cambiato, appunto.


IL FUTURO
«E adesso che ne sarà di noi?», domanda uno storico iscritto, qui tutto d'altronde ha questo aggettivo, storico, perché la giraffa comunista ha gironzolato tanto da queste parti, per poi seguire tutta la filieria botanica Pds-Ds fino al Pd. «Nessun compagno sarà lasciato solo: siamo pronti a ospitarli nella nostra sede», assicura Federica Assanti, coordinatrice del circolo di Testaccio. Non ha ancora trent'anni, ma i suoi occhi tradiscono la solennità del momento. Si affacciano in molti da queste parti: sembra un po' funerale laico. «Servirebbe Ettore Scola», altro frequentatore, per inciso. Luigi Zanda, capogruppo dem al Senato, si accomoda sulle poltroncine vintage nella sala del dibattito. Con lui la collega Monica Cirinnà. Fu proprio Zanda a coniare «il metodo Giubbonari»: qui dentro si è discusso di tutto, da Praga alla Cosa, ma poi si è sempre usciti con una linea unitaria, ricorda chi ha i capelli molto bianchi. Ecco Ezio Di Monte, prima tesserà del Pci nel 64, segretario per dieci anni al tempo della Svolta. Ricorda: «Siamo riusciti a resistere agli assalti degli autonomi e degli indiani metropolitani, è il colmo andarsene via, adesso, così». La presidente del I municipio Sabrina Alfonsi, perché questa rimane comunque una zona de-grillizzata, interviene: «Oggi si sfratta una sede del Pd che probabilmente verrà occupata, forse da chi dorme per strada: la lasciamo, perché il Pd non fa barricate».

Orfini - dietro al tavolo con la collega Elisa Simoni e con la segretaria di zona Giulio Urso - se la prende con chi lo ha preceduto: pagherà chi ha gestito «da schifo il Pd». Tempo fa il regista Ugo Gregoretti ebbe a dire di queste quattro mura «Sono un'incarnazione plastica del paese pulito all'interno del paese sporco». Quella che fu l'idea di far convivere l'alto e il basso, l'intellettuale e l'operaio. Si fermano giornalisti (Andrea Vianello) e pezzi di Roma (lo storico Adriano La Regina), vecchi militanti con gli occhi rossi (ce n'è uno con la spilla del Che ma non «sono più iscritto al Pd») e giovanotti con le Clarks. Dentro il dibattito continua, c'è chi vorrebbe farlo virare addirittura sul referendum, perché adesso c'è anche chi tifa per il «no». Ma niente sintesi, ormai il «metodo Giubbonari» non funziona più.