IL PASSATO
La 29 Giugno nacque con un fine nobile, il reinserimento nel mondo del lavoro di ex detenuti; semmai è sui mezzi che si può discutere. Si chiama 29 giugno perché quel giorno del 1994 Salvatore Buzzi, ex carcerato condannato per l'omicidio del suo socio, laureatosi e poi graziato, partecipa a un convegno con il ministro Vassalli sulle «Misure alternative alla detenzione». Buzzi crea la coop e, come lui stesso racconta, ottiene subito lavori dalla Provincia. Poi però in molti, dal Comune all'Ama, si rivolgono alla 29 Giugno, che mette le mani su raccolta dei rifiuti, manutenzione del verde, emergenza casa e accoglienza di immigrati. Business, business, business, ma anche legami con il boss Carminati. Fino a quando l'impero crolla sotto i colpi della magistratura e l'arresto di Buzzi il 3 dicembre 2014. Dopo il terremoto giudiziario scatenato dall'inchiesta Mondo di Mezzo, ora la Coop 29 Giugno, finita sotto sequestro preventivo tre anni fa, sta per essere dissequestrata. «Il dissequestro sarebbe dovuto avvenire a fine settembre spiega Andrea Laguardia, presidente della Legacoop Lazio, cui la 29 Giugno fa parte ci sono stati alcuni rinvii tecnici, restiamo in attesa».
Subito dopo, i soci, eleggeranno il cda, il nuovo presidente e sceglieranno anche un nuovo nome. Un passaggio travagliato: sono infatti gli stessi soci che hanno lavorato per una vita al fianco del ras delle coop, che è stato estromesso dal gruppo insieme a tutti i soggetti coinvolti nell'inchiesta. Per ricostruire le tappe giudiziarie, bisogna tornare al dicembre 2014, quando esplode il caso Mondo di mezzo. Tra i 37 arrestati c'è Buzzi, condannato in primo grado a 19 anni. Le coop a lui riconducibili finiscono sotto sequestro preventivo. La Procura nomina un collegio di amministratori giudiziari e un nuovo management. Cade l'interdittiva antimafia disposta dalla Prefettura e la 29 Giugno, a metà 2015, ricomincia a partecipare a gare pubbliche. Nel dicembre dello stesso anno, il Tribunale di Roma e Legacoop siglano un protocollo d'intesa per la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia e alla criminalità organizzata. «Ci siamo concentrati su una serie di attività per salvaguardare il posto dei 1.300 soci. A pochi giorni dal probabile dissequestro posso affermare che ci siamo riusciti: nessun posto di lavoro è andato perduto. Speriamo che ad affossare il percorso non ci pensino Ama e il Comune di Roma», dice Laguardia.
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