C'erano una volta i vespasiani eredità dell'imperatore avaro

C'erano una volta i vespasiani eredità dell'imperatore avaro
di Luca Lippera
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Sabato 25 Febbraio 2017, 07:49
Un po' storia un po' leggenda, i vespasiani devono il loro nome all'imperatore Tito Flavio Vespasiano, l'uomo che tra l'altro fece progettare il Colosseo, inaugurato dal figlio due anni dopo la sua morte. I vespasiani, cioè i gabinetti pubblici, esistevano già prima del regno di Tito Flavio ma fu lui a decidere di sottoporli a tassazione. L'imposta era dovuta dai cosiddetti fullones, coloro che lavavano e smacchiavano le vesti, i quali ricavavano ammoniaca dalle urine passate dai romani nei bagni dell'impero. L'urina veniva acquistata dagli artigiani e si dice che, dalla decisione di tassarla, derivi l'antico detto latino «pecunia non olet» (il denaro non puzza) che sarebbe stato la risposta fornita dall'imperatore al figlio Tito, quando questi lo criticò per il provvedimento preso. Fatto sta che le latrine pubbliche, con il passare del tempo, furono chiamate vespasiani e il termine è arrivato senza variazioni ai giorni nostri.

IL PRIMO ESEMPLARE
A Roma fino agli anni 70 i vespasiani sono stati un'istituzione. Erano sui marciapiedi, avevano due aperture laterali e dentro c'erano altrettante pareti di porcellana bianca ingiallite dall'urina e maleodoranti. Il tempo aveva apportato una novità, perché quasi tutti contenevano anche un bagno alla turca con un foro nel pavimento al posto del water. Ma molti vespasiani, giudicati poco igienici, con il passare del tempo sono stati smantellati e ora sul territorio del Comune ne restavano sì e no una novantina. Si racconta che un esemplare di latrina pubblica dell'Antica Roma sia quello trovato tra i ruderi di piazzale Numa Pompilio e il reperto ha tenuto in vita la leggenda sui vespasiani.
Non è chiaro quand'è che le latrine pubbliche furono ribattezzate con il nome dell'imperatore.

Certamente non durante la sua vita - la cosa sarebbe stata di cattivo gusto - ma non così tanto tempo dopo la sua morte. L'imposta che l'imperatore volle sui bagni si chiamava centesima venalium ed era estesa anche agli orinatoi che i lavandai collocavano all'esterno delle loro attività commerciali: ognuno poteva fare la pipì all'interno dei vasi e anche quella veniva tassata, tanto che Tito Flavio Vespasiano si guadagnò la fama di avaro. Lo storico Svetonio, nel De Vita Caesarum, racconta l'episodio del rimprovero del giovane Tito al padre imperatore. Il figlio, stando al racconto, avrebbe lanciato alcune monete in uno dei gabinetti e il genitore, dopo averle raccolte, avrebbe pronunciato la celebre frase «Pecunia non olet», la quale, letteralmente, significa anche «il denaro non ha odore».

FRASI OSCENE
A Roma c'erano moltissime latrine pubbliche. I cives tra l'altro avevano un senso del pudore diverso dal nostro e non si vergognavano di fare i propri bisogni in presenza di altre persone. I più antichi bagni di cui si ha notizia sono vicini all'ingresso orientale del Colosseo. Tracce di un complesso di latrine sono state trovate anche nell'area sacra dell'Argentina dietro la piattaforma del Tempio di Giunone. Le più recenti sono state trovate lungo via Garibaldi, nell'attuale Monteverde Vecchio, e sulle parete ci sono scritte oscene (in latino) come quelle che per anni hanno campeggiato sulle pareti interne dei vespasiani.