Roma, «infame, figlio delle guardie»: 14enne picchiato e minacciato dai bulli

Roma, «infame, figlio delle guardie»: 14enne picchiato e minacciato dai bulli
di Giulio Mancini
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Giovedì 10 Marzo 2016, 09:35 - Ultimo aggiornamento: 12 Marzo, 10:45
Lo hanno picchiato, marchiato con un pennarello su un braccio e pure minacciato di morte. Senza una colpa vera se non quella di essere figlio di due appartenenti alle forze dell’ordine.
E’ la vicenda che si trascina da otto mesi ad Acilia e che vede come vittima un ragazzo di 14 anni, educato e perbene. I carabinieri stanno indagando su sette episodi gravissimi denunciati dai genitori che hanno visto Luca, un nome di fantasia per proteggerne l’identità, subire aggressioni che l’hanno mandato al pronto soccorso, pedinamenti, minacce armate e persino promesse di morte. L’inchiesta ad ora non ha portato a nulla e anche i dirigenti della scuola che frequenta, pur costatando la veridicità dell’agghiacciante situazione, hanno fatto poco o niente.

LA SEQUENZA Il giovane frequenta la terza media con buoni risultati, è un boy scout ed è impegnato nella protezione civile. Insieme con altri giovani del quartiere e con i fratelli spesso si mobilità nel retake, l’attività civica che consiste nel pulire parchi e restituire al decoro urbano i quartieri.
La prima aggressione è del 6 luglio scorso. Sono le 13,30 Luca ha lasciato la sede dei boys scout e si affretta a tornare a casa a piedi quando lo affianca una Renault Clio, senza targa anteriore e quella posteriore oscurata, con quattro ragazzi a bordo. L’auto si ferma ed il quartetto scende per bloccare Luca e dargli una ”lezione”: tentano di soffocarlo con le bretelle del suo zaino, lo gettano in terra, lo prendono a calci e, non paghi, lo immobilizzano scrivendo sul suo braccio sinistro con il pennarello la frase «A morte rosso infame» e scappano. Al pronto soccorso del ”Grassi” gli vengono riscontrate contusioni al costato sinistri, ne avrà per 5 giorni.
La sera dopo un fatto inquietante. Davanti al cancello di casa Luca trova un foglio stappato con la frase scritta al computer «A morte rosso infame».
 

Il 23 luglio ancora un’aggressione fisica. Nel pomeriggio, in pieno giorno, mentre Luca sta rientrando nella sua abitazione a piedi un ragazzo in bicicletta lo intercetta, lo avvicina e senza un motivo lo colpisce all’addome con un bastone che teneva con una mano. La sensazione, riferiranno i genitori ai carabinieri, è che si sia trattato di uno dei tre aggressori del 6 luglio. Stavolta il medico del pronto soccorso per quel trauma contusivo all’emitorace gli assegna 7 giorni di cure.

I DOCENTI  Il 21 settembre l’escalation fa un ulteriore balzo in avanti. Di mattina presto mentre Luca sta andando a scuola a piedi, la Renault Clio del terrore si materializza nuovamente. Stavolta a bordo c’è una sola persona che abbassa il finestrino e gli mostra di impugnare con la sua mano destra una pistola.
E’ il 26 novembre, poi, quando la banda di bulli intorno alle 16,30 intercetta Luca nei pressi della chiesa. I balordi lo avvicinano e lo accerchiano. Uno di questi estrae dalla tasca un coltello a serramanico e lo punta allo stomaco del ragazzo. «Noi sapemo che hai denunciato dei nostri amici e che se non ritiri la denuncia ti famo del male» gli intima il giovane con il coltello in mano. Stavolta i carabinieri fanno in tempo a raggiungere gli aggressori mentre si stanno allontanando a piedi ma non risulterebbero denunce.
Il 16 dicembre la persecuzione si sposta nella scuola. «Luca muori» è scritto con il pennarello su una mattonella del bagno. «Abbiamo verificato la scritta e abbiamo anche trovato un pennarello ma senza sapere chi è il responsabile non possiamo intervenire» si giustifica la vicepreside.
Il 13 gennaio e pure il 23 febbraio scorso la scritta viene replicata e Luca si sente male per la paura. «Siamo disperati - racconta la mamma del ragazzo - Non abbiamo ricevuto aiuti dalle istituzioni, siamo stati lasciati soli. La colpa di Luca? Avere i genitori che indossano una divisa. Cosa dobbiamo fare? Qualcuno ci ha suggerito di togliere Luca da quella scuola ma allora dovremmo anche trasferirci e andare a vivere altrove».
 
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